Omelia (20-08-2006) |
don Bruno Maggioni |
In quel Pane la verità di Gesù In questo brano evangelico di Giovanni (6, 52-59) il pane non simboleggia più soltanto la Parola di Gesù da accogliere nella fede, ma il sacramento dell'Eucaristia. Le parole più ripetute sono infatti «carne e sangue», e «mangiare e bere». Ma dopo aver compreso questo, è importante non dimenticare che il discorso di Gesù ha voluto intenzionalmente unire i due temi: la Parola e il sacramento. E li ha congiunti a tal punto che non si vede dove termina l'uno e dove inizia l'altro. Giovanni non prende soltanto in considerazione l'Eucaristia sacramento, ma anche (come dovrebbe essere!) l'intera esistenza del Cristo e il progetto di vita del discepolo. Nel gesto eucaristico è l'intera incarnazione che trova la sua spiegazione: il gesto eucaristico è rivelatore della «verità» di Gesù in tutta la sua interezza. Alcune espressioni come «disceso dal cielo», «donato dal Padre» si riferiscono all'origine di Gesù, all'incarnazione; altre come «carne e sangue», «dato per la vita del mondo» si riferiscono al ministero di Gesù, alla sua passione e alla sua croce. La riflessione di Giovanni investe dunque l'intera esistenza di Gesù e ne svela in profondità il significato: Gesù è Colui che viene dal cielo, Gesù è Colui che si offre per la vita del mondo. Sono i due aspetti che definiscono Gesù nella sua persona e nella sua missione: la sua origine divina (Figlio di Dio e dono del Padre) e il suo significato per noi (è il pane che dà la vita, è la nostra salvezza). E sono anche i due aspetti che definiscono il discepolo: un figlio di Dio a servizio dei fratelli. Mangiare e bere la carne e il sangue di Cristo non significa solo credere nella presenza reale del Signore e nel suo dono di amore, ma significa «accogliere» quel dono, porsi in sintonia con esso e prolungarlo nella vita. C'è un legame stretto tra l'eucaristia e la vita, e su questo l'evangelista sembra indugiare con particolare insistenza: il concetto è ripetuto sei volte nel nostro passo. Non si tratta di una vita qualsiasi, ma della vita eterna, e nel vocabolario di Giovanni «eterno» significa sempre una realtà che appartiene al mondo di Dio e che tuttavia viene dotata anche all'uomo. E dunque, una vita che può dirsi divina non solo perché viene da Dio come un dono, ma anche perché è una comunione con la stessa vita di Dio. E non è solo una realtà futura («lo risusciterò nell'ultimo giorno»), ma già presente, sia pure allo stato germinale: «dimorare con Dio» è già possibile all'uomo che si apre alla Parola del Signore e si siede con Lui alla tavola eucaristica. |