Omelia (03-09-2006) |
padre Gian Franco Scarpitta |
Andare oltre.... Come già detto la settimana scorsa, una volta che Dio ci rivela il suo dono in Cristo, sta a noi accoglierlo e accettarlo nella fede e nella rettitudine di condotta. Accettare di seguire Gesù dopo averlo riconosciuto Figlio di Dio venuto a salvarci comporta infatti che ci si comporti come lui si è comportato (1Gv), disponendoci a vivere secondo quanto lui stesso ha instaurato quale fautore del Regno, ossia nell'amore a Lui e al prossimo. L'amore. E' anzi questa la normativa vincolante che ci lega a Gesù e che dovrebbe costituire il criterio di unità fra di noi e con gli altri, poiché vivere in Cristo da persone redente e salvate comporta che ci si ami tutti indistintamente gli uni gli altri, senza riserve né ritrosie, ma esercitando la carità incondizionata senza particolarismi o preferenze di sorta. L'amore verso il prossimo è talmente urgente da parte nostra da non ammettere procrastinazioni e impone che si metta in pratica nell'immediato la parola di Dio da noi ascoltata in tutte le circostanze, specialmente al termine di ogni culto domenicale, poiché è appunto dopo la Messa che la vera celebrazione del mistero ha inizio, quando cioè si vive il medesimo mistero recando agli altri il suo contenuto per mezzo di una vita di amore vicendevole costituito da atti concreti. Questo insegna la Lettera di Giacomo, fra l'altro costitutiva della seconda Lettura odierna e lo stesso Gesù oggi aggiunge che l'amore è anche un fatto di trasparenza e di sincerità. Tale messaggio è quanto mai attuale visto che non di rado nelle nostre comunità parrocchiali, come pure nel corso della vita cristiana di tutti i giorni, siamo soliti attribuire estrema importanza all'esteriorità delle nostre funzioni religiose ricercando la competenza liturgica e organizzativa nella gestione delle processioni mariane o dei vari culti dedicati ai Santi sempre atti a mettere a punto ogni cosa per esternare le nostre iniziative di religiosità popolare che facciano "bella figura", come pure la recita vacua di tanti rosari e l'esercizio delle pie pratiche di devozione viene a volte addirittura anteposto allo stesso Cristo e in generale viene trascurato ciò che comporterà un giorno materia di giudizio davanti a Dio, appunto l'amore al prossimo... Anzi, succede non di rado che la stessa devozione che noi presumiamo di comunicare con questi mezzi venga immediatamente smentita nell'atto stesso in cui la pratichiamo dandoci ai pettegolezzi, alle critiche e alle mormorazioni. A che serve trascorrere la maggior parte del nostro tempo in chiesa o nei saloni parrocchiali frequentando le riunioni, quando poi ci si nega per una concreta opera di carità verso una persona bisognosa quale potrebbe essere un anziano o un ammalato? E non è forse ridicolo premurarci di partecipare alla processione della statua del Santo Patrono o alla Novena alla Madonna, ritenute queste indispensabili, quando poi si trovano tutti i pretesti per eludere anche un favore al nostro prossimo e peggio ancora ci si da' volentieri e senza ritegno alle mormorazioni e al pettegolezzo? Certo, la devozione e le pie pratiche sono cosa utilissima e conveniente, ma non possono non essere messe in atto se non con cuore sincero e trasparente e la prova del nove della sincerità è appunto la capacità di amare gli altri come noi stessi attraverso la prontezza delle opere concrete di solidarietà ed essendo pronti a confessare (anche sacramentalmente!) le eventuali omissioni o il male che abbiamo fatto ai nostri fratelli poiché nessuno può mai affermare di amare sinceramente Dio o di essere in comunione con lui se non lo avrà dimostrato concretamente nell'amare il prossimo. Anche nell'atteggiamento della persona, molto spesso si tiene molto ai modi, al garbo, alla parvenza coltivando le consuetudini dell'aspetto nascondendo però in noi stessi una grossa vena di vanità e di falso orgoglio; così pure nella puntuale osservanza delle norme del galateo e della perfezione e delle varie consuetudini di educazione, finezza e rispetto si celano – fatte le dovute eccezioni – falsità e presunzione. E anche nell'esercizio stesso della carità non si deve affatto negare che molte volte determinate iniziative di aiuto agli indigenti, ai poveri e agli abbandonati si realizzano più per pure ragioni di millanteria e di esibizionismo, nel vano tentativo di guadagnare la stima della gente o la considerazione di qualche nostro superiore e attendendoci il contraccambio di generose ricompense, senza effettivamente mostrare reale interesse verso chi stiamo assistendo al punto che – fatte le dovute eccezioni – prevale più l'esteriorità del fare che la spontaneità sincera dell'essere persone di amore. Eppure Gesù è stato abbastanza categorico nel disporre" Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi, da questo capiranno che siete miei discepoli.", egli porta infatti come riferimento concreto dell'amore il suo stesso esempio: Amatevi COME IO HO AMATO VOI. E lui come ci ha amati? Con quella sincerità e profondità che non lascia spazio alle apparenze e alle meschinità ridicole delle varie esteriorità e tale trasparenza è di fatto reale e fondata, visto che è stata capace di condurre il nostro Signore sulla croce! Quando noi ci sentiamo ancora radicati sul formalismo dell'osservanza di certe norme e sul tassativismo delle nostre consuetudini anche religiose, non siamo lontani dalla legge giudaica che fondava ogni cosa sulle prescrizioni e sui decreti esteriori proprio in nome di una legge scritta tipica del codice del Levitico e quiesto ci rende in definitiva schiavi della norma o delle umane tradizioni a volte banali e superficiali; nella prospettiva del Cristo risorto, invece, noi siamo stati resi liberi e disinvolti nonché capaci di perfezione morale e di autoresponsabilità che scaturisce direttamente dal cuore per la quale da noi stessi si riscontra effettivamente determinante doverci fondare sulla legge dell'amore. E come diceva San Paolo Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi. |