Omelia (26-10-2003) |
padre Lino Pedron |
Commento su Marco 10, 46-52 Il lettore del vangelo sa ormai che le folle seguono Gesù, ma senza una fede profonda e con gli occhi chiusi nei confronti della sua missione. Il cieco Bartimeo, invece, crede in lui come figlio di Davide, con fede salda e imperturbabile, anche se i numerosi presenti tentano sgarbatamente di farlo tacere. Egli crede nella bontà e nella potenza di Gesù nelle quali cerca il soccorso di Dio. Il cieco è un emarginato. La sua professione di mendicante dimostra chiaramente che non può far nulla da sé e deve attendere tutto dagli altri. La molta folla intorno a Gesù è l'immagine della comunità che spesso non accoglie gli emarginati, ma li sgrida, li zittisce e li colpevolizza, credendo oltretutto di far bene. Ma Gesù impartisce un ordine chiaro: "Chiamatelo!". Nella preghiera del cieco, Gesù riconosce la fede, condizione necessaria per essere aggregato alla comunità che sale a Gerusalemme e alla croce. Appena acquistò la vista, divenne discepolo. Per seguire Gesù bisogna vedere bene e vederci chiaro. La domanda di Gesù: "Che vuoi che io ti faccia?" è la stessa che egli aveva rivolto a Giacomo e Giovanni (cfr Mc 10,36). La loro richiesta di posti d'onore contrasta con l'umile richiesta di Bartimeo: essi chiedevano di progredire nella cecità della loro superbia, egli chiede di avere la luce della fede che scruta nel Cristo crocifisso l'umiltà e la profondità di Dio. A questo punto del vangelo, Gesù rivolge anche a noi la stessa domanda che ha fatto al cieco: "Che vuoi che io faccia per te?". E noi dobbiamo fare nostra la sua risposta: "Maestro, che io riabbia la vista!". Fine di tutta la catechesi di Gesù è portarci qui, dove si compie l'ultimo miracolo, quello definitivo: la guarigione dalla cecità e la vista della fede. Gesù è la luce del mondo (cfr Gv 8,12), il figlio di Davide che esercita la sua regalità usando misericordia, il Signore che dà la vista ai ciechi (Sal 146,8). L'invocazione del suo nome è la nostra salvezza (cfr At 2,21). Gesù significa "Dio salva". Egli ci salva perché è tutto misericordia rivolta alla nostra miseria. "Figlio di Davide, abbi misericordia di me" (v.48). Questa espressione contiene tutta la preghiera, perché contiene tutto Dio. La misericordia è l'essenza di Dio. Egli non è misericordioso: è misericordia. Egli non ama i suoi figli in proporzione dei loro meriti, ma della loro miseria. E li ama uno ad uno (cfr Gal 2,30; 1Tim 1,15). Io, in persona, sono amato totalmente dal Padre in Gesù. L'amore non si divide, si moltiplica. L'amore di un padre non si divide per il numero dei figli, ma è tutto intero per ciascuno. Gettando il mantello, che era tutto per lui, questo povero segue Gesù, a differenza del ricco che, attaccato ai suoi beni, si allontanò triste (cfr Mc 10,22). |