Omelia (27-08-2006)
mons. Ilvo Corniglia


Il brano di Giosuè 24 ( I lettura) descrive un momento - cardine nella storia d'Israele. Le dodici tribù si sono insediate nella Terra Promessa. Giosuè, che le ha guidate nella conquista del Paese, le convoca per rinnovare l'Alleanza con Dio. Davanti alla grande assemblea Giosuè ha rievocato gli interventi di Dio in favore del popolo, dalla chiamata di Abramo alla liberazione dalla schiavitù d'Egitto e al dono della Terra. E' il "Credo" d'Israele. A questo punto il popolo è invitato a preferire il Signore a tutti gli altri dei. La risposta dell'assemblea è corale ed entusiasta: "Noi vogliamo servire il Signore, perché Egli è il nostro Dio".
Nell'Eucaristia, dove ogni volta è resa presente la "Nuova Alleanza", noi siamo chiamati a rifare la medesima scelta, prolungandola poi e concretizzandola nei gesti quotidiani. Possono essere momenti forti di tale scelta durante la Messa la recita del Credo e l' "Amen" nel ricevere la Santa Comunione.
Si tratta, in definitiva, di rivivere l'esperienza di Pietro e dei suoi compagni, facendo nostra la loro decisione nei confronti di Gesù.
Nel suo dialogo con la folla Gesù ha dichiarato a più riprese di essere "il pane della vita...disceso dal cielo": colui che sazia in misura sovrabbondante col dono della vita divina quelli che lo "mangiano", cioè accolgono nella fede la sua Parola e ricevono la sua Persona nell'Eucaristia. Più volte, lungo il discorso, questa sua rivelazione ha incontrato la resistenza della folla, la "mormorazione"e la "disputa accanita" contro di Lui da parte dei Giudei.
Nel brano di oggi, però, la crisi di fede si sposta dentro la cerchia dei "discepoli": "Questo linguaggio è duro (cioè incomprensibile, inaccettabile)". Come già i Giudei, ora sono i discepoli che "mormorano" e "si scandalizzano" (cioè trovano un ostacolo insormontabile a credere). E' un richiamo sempre attuale per noi a vigilare, superando l'illusione che la nostra fede in Gesù sia un possesso tranquillo, non esposto a nessun rischio.
Gesù sa che la sua rivelazione rimane un enigma e la sua parola oscura, se lo consideriamo come un semplice uomo o fermiamo l'attenzione su qualche aspetto della sua opera, senza però riconoscere la globalità della sua persona, che Egli a più riprese ha rivelato lungo il discorso. Nel nostro testo lo ribadisce, affermando di essere il "Figlio dell'uomo", cioè il Messia glorioso che è venuto da Dio e ritorna a Dio: "E se vedeste il Figlio dell'uomo salire là dove era prima?". E' una costante nell'esperienza cristiana: più si riconosce l'unicità della persona di Gesù e si rinnova la fede in Lui, e meno fatica si fa ad accettare anche i contenuti più difficili del suo messaggio, come anche le sue esigenze più radicali sul piano morale.

Per i discepoli è incomprensibile e urtante che Gesù pretenda di "dare la sua carne da mangiare": la intendono in senso materiale. Gesù precisa che la sua "carne", vale a dire il suo semplice essere umano, "non giova a nulla", cioè non può comunicare la vita di Dio. Ma "è lo Spirito che dà la vita": lo Spirito, che è l'infinita potenza vitale di Dio, trasformerà l'essere umano di Gesù. E' la realtà di Gesù risorto, totalmente trasfigurato dallo Spirito Santo e fonte inesauribile dello Spirito, che ci viene donata nell'Eucaristia. Fa riferimento a tale affermazione di Gesù un bellissimo testo del Concilio: "Nella SS Eucaristia è racchiuso tutto il bene spirituale della Chiesa, cioè lo stesso Cristo, nostra Pasqua, Lui il pane vivo che, mediante la sua carne vivificata dallo Spirito Santo e vivificante, dà la vita agli uomini" (PO 5)
Gesù aggiunge: "Le mie parole sono Spirito e vita". La "carne" di Gesù, cioè la sua umanità, trasformata dallo Spirito e resa fonte di vita: come tale la incontriamo nell'Eucaristia, ricevendo lo Spirito di cui è traboccante. Allo stesso modo lo Spirito è presente nelle parole di Gesù, le rende efficaci e operanti e attraverso di esse, quando le ascoltiamo, viene comunicato a noi.
La condizione per tutto questo rimane la fede, che è dono di Dio: "...nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre mio". Gesù ribadisce quanto ha già espresso con forza nei vv.44-46 (domenica XIX). Ma la fede resta anche libera risposta dell'uomo e sua suprema responsabilità.
"Vi sono alcuni tra voi che non credono". Questa costatazione di Gesù riguardante i discepoli non perde per noi la sua forza inquietante di provocazione.

A questo punto il Vangelo registra la defezione generale dei discepoli. Gesù rimane solo con i Dodici.
"Ma sul "pane della vita" Gesù non è disposto a transigere. E' pronto piuttosto ad affrontare il distacco anche dei più intimi: "Forse anche voi volete andarvene?". La domanda di Cristo scavalca i secoli e giunge fino a noi, ci interpella personalmente e sollecita una decisione. Quale la nostra risposta?" (Giovanni Paolo II: omelia conclusiva durante la Giornata Mondiale della Gioventù nel 2000). La risposta di Pietro in questa circostanza così drammatica non è una risposta superficiale o impulsiva e suggerita dall'emozione. Gesù con la sua domanda li provocava a prendere liberamente una decisione nei suoi confronti. La scelta di restare con Lui come suoi discepoli è meditata e si fonda su alcuni motivi che Pietro esprime nella sua risposta.
Anzitutto: "Signore". Lo riconoscono "Signore": un termine estremamente evocativo nel linguaggio cristiano. "Da chi andremo?": dove potremo trovare qualcuno che valga più di te o quanto te? Anche se disorientato, Pietro sa che sarebbe da stolti cercare altrove. In effetti, non si tratta di cercare qualcosa. C'è chi si accontenta di "cose". Ma le vere domande, "quelle decisive, non riguardano il "che cosa". La domanda di fondo è "chi": aerso "chi" andare, "chi"seguire, a "chi"affidare la propria vita" (GPII GMG 2000). E chi può prendere il posto di Gesù?
"Tu hai parole di vita eterna". Pietro fa eco alla precedente rivelazione di Gesù: "Le mie parole sono Spirito e vita". L'Apostolo può dirlo perché ha già cominciato a sperimentare - e noi non ancora?- che ogni parola di Gesù, se custodita e vissuta, fa gustare nel cuore una vita nuova e una speranza nuova, anticipazione della "vita eterna".
"Noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio". Se i discepoli si affidano a Lui, è perché lo hanno riconosciuto nella fede (fede che diventa conoscenza luminosa) come il "Santo di Dio": cioè colui che appartiene a Dio in modo totale, in una relazione esclusiva con Lui, la relazione di Figlio unico. Ecco perché il loro Maestro ha "parole di vita eterna". Sarebbe perciò da insensati "mollare" Gesù.
La stupenda professione di Pietro (che corrisponde a quella riferita dai Sinottici: Mc 8, 27ss e par.) ci dice che per impegnarsi in un percorso di fede non è necessario aver capito tutto. Infatti nel cammino cristiano non si arriva mai a capire tutto; ma, pur nel dubbio, la scelta rinnovata di Gesù - rimanendo nel gruppo dei discepoli, cioè nella comunità cristiana, partecipando alla sua vita - ci otterrà ogni volta la luce e la forza sufficienti per andare avanti.

Quante volte, specie in certe età della vita, si abbandona Gesù, seguendo la "massa"! Il motivo? Dubbi e riserve sul suo messaggio e sulle sue esigenze morali. Non di rado, molti se ne vanno senza una vera scelta, e tanto meno motivata: semplicemente perché subentrano altri interessi...Ma, se rifletti seriamente come Pietro, non riuscirai a immaginare il tuo futuro senza Gesù, senza una relazione profonda e personale con Lui.

Proviamo - specialmente quando siamo tentati - a rivivere questa scena evangelica. Riascoltiamo le parole di Gesù e rinnoviamo con gioia la professione di Pietro: "Signore da chi andremo? Noi crediamo!" Donaci di credere!