Omelia (10-09-2006) |
padre Gian Franco Scarpitta |
Effetà per sentire e comunicare Negli anni '80 mi capitò di sentire un commento amaro da parte di un frate francescano: "La televisione ha preso il posto di Dio". Già allora si attribuiva a questo mezzo mediatico, appunto la TV, la colpa di essere elemento di disunione all'interno delle famiglie; sia perché di fronte al video molto spesso si litigava tutte le sere su quale programma vedere, sia perché la visione stessa toglieva spazio alla comunicazione e al dialogo: assistere ad un programma vuol dire infatti venir meno al confronto e alla comunicazione fra i membri stessi della famiglia. Ma se già allora si avvertiva la gravità del problema, adesso si deve affermare che il fattore comunicazione ha assunto una piega molto sconcertante: nelle famiglie (così mi capita di vedere durante il mio ministero di benedizione nelle case) a volte vi è anche un televisore in ciascuna delle stanze, compresa quella dei ragazzi, il che non può che accrescere l'isolamento e l'impermeabilità comunicativa nel senso che in famiglia ora si trascorre sempre meno tempo insieme.Come se non bastasse il morbo della tv, oggi anche il computer è diventato un elemento di sconvolgimento e di distacco nelle famiglie, visto che i ragazzi vi trascorrono mediamente 11 ore al giorno, molte volte sbizzarrendosi in parecchi siti internet a volte poco morigerati... Non comporta tale accanimento ai mezzi tecnologici uno stato di alienazione e di isolamento per il quale la socializzazione perde la sua consistenza perché le viene a mancare il terreno sotto i piedi? Non si scoraggia così l'incentiva alla comunicazione e alla interazione fra i membri stessi della famiglia? Chissà se ancora oggi si insegna ai ragazzi a non allontanarsi da tavola fino al termine del pasto? Durante la mia infanzia ricordo che mio padre teneva molto a che noi bambini, pur non avendo più appetito, restassimo a tavola fino a quando non terminassero tutti di mangiare; stando invece alla mia esperienza personale vi sono invece alcuni casi in cui si pranza ciascuno per conto proprio; chi inizia a mangiare mentre l'altro ha terminato per correre davanti al televisore; chi se la prende comoda prima di venire a tavola; chi addirittura mangia in un secondo momento per conto proprio.... L'assenza di comunione e di comunicazione nella nostra famiglia si riversa anche nella società e non può che determinare la conseguenza che ciascuno si chiuda in se stesso e si ometta anche di aprirsi nelle situazioni di difficoltà e al presenziare dei problemi: la carenza di una pedagogia o di una formazione al dialogo e alla comunicazione non può che far si che noi tutti si ometta di esternare agli altri le proprie confidenze, specialmente al presenziare di situazioni difficili e insostenibili, nelle quali è sempre conveniente che ci si apra con qualcuno. Che i giovani siano restii ad accostarsi al sacramento della Riconciliazione (come pure a tutti gli altri sacramenti) è risaputo e ormai scontato; ma è preoccupante se non sconcertante il fatto che essi si neghino di trovare nel sacerdote una valvola di sfogo a proposito dei loro problemi e delle loro difficoltà: anche al sottoscritto capita rarissimamente che gli adolescenti o i giovani, sempre pronti a scherzare, ridere, giocare nei saloni delle nostre comunità ecclesiali, siano parimenti propensi a trovare nel prete un confidente che ascolti le loro ansie, fossero pure quelle più banali. Eppure noi siamo nelle chiese proprio per questo! Ma il guaio maggiore è che essi non si confidano neppure fra di loro, restando divisi ciascuno con i propri problemi e difficoltà! Perché non si espongono a persone di fiducia le proprie difficoltà? Perché non ci sia apre, sfruttando questo elemento nobile e costruttivo nonché utile e prezioso che è la parola? Gesù in fondo a questo vuole istigarci nelle righe del Vangelo di oggi. Egli guarisce un sordomuto adoperando un'esclamazione del tutto singolare, che il sacerdote tutt'oggi ripete al termine della liturgia del Battesimo mentre segna le orecchie e le labbra del fanciullo con il segno della croce: Effetà! Il termine non vuol dire (come guarda caso si evince in altri miracoli di guarigione) "Sii guarito" o "Guarisci dal tuo male", ma semplicemente "Apriti": la guarigione fisica dai disturbi laringoiatrici e di otite non serve a nulla se poi non ci avvaliamo di queste facoltà del fisico per l'ascolto attento e la comunicazione. Il che sottende il reale senso di questo prodigio realizzato dal Signore: l'uomo deve aprirsi, il che vuol dire essere pronto ad ascoltare e comunicare e in ciò stesso mostrare la propria propensione al dialogo e alla comunicazione; bisogna che siamo disposti innanzitutto ad accogliere con benevolenza la parola di Dio per diffonderla agli altri dopo averne fatto tesoro noi stessi, affascinandoci del messaggio di salvezza e di speranza che deriva da Lui solo e a comunicarla a tutti con disinvoltura partecipativa. L'ascolto dell'Altro (Bruno Forte) suppone il raccoglimento, lo stupore, il silenzio e la meraviglia ma risulta sempre affascinante e convincente perché riempie di senso il nostro vivere e il nostro operare. Per questo è importate per noi la ricerca di ambiti di raccoglimento e di solitudine per la preghiera, da svolgersi questa con assoluta fiducia e disinvolta attitudine a parlare con il Signore sempre e in tutti i casi. Ma l'invito è consequenzialmente orientato all'ascolto dell'altro inteso come il fratello; alla valorizzazione della sua persona e del suo messaggio, quindi alla corrispondenza con lui. Effetà vuol dire quindi comunicare con Dio e per ciò stesso anche comunicare fra di noi, scambiandoci opinioni, idee, confronti e mettendoci a disposizione gli uni degli altri pronti anzitutto all'ascolto e alla considerazione, quindi all'esortazione, al consiglio e alla comprensione delle difficoltà altrui; e soprattutto la facoltà di confidarsi spontaneamente e senza ritrosie, comunicando a qualcuno le nostre eventuali mancanze, i limiti o le preoccupazioni. Come si può mai trovare aiuto e considerazione quando non ci si apre? Non è mai conveniente gestire da noi stessi problemi e dolori quando o chiuderci nell'isolamento, nelle lacrime e peggio ancora nella disperazione al verificarsi di tanti e tali avvenimenti di tristezza e di abbattimento mentre la comunicazione con una persona di fiducia aiuta a prevenire lo sconforto e l'autocommiserazione recando molto sollievo e liberazione. Ed è altresì da valorizzarsi la comunicazione reciproca interpersonale, che prescinda da qualsiasi artefatto o struttura tecnologica ma che permetta la nostra condivisione e la reciproca accettazione e comprensione; è indispensabile infatti che noi si riscopra la necessità e l'utilità nell'incontro mutuo e spontaneo e che realizzi la comunicazione vicendevole. |