Omelia (10-09-2006)
mons. Ilvo Corniglia


La prima parola che il Signore oggi ci rivolge è un appello alla fiducia, alla speranza: "Dite agli smarriti di cuore: coraggio! Non temete!"(Is. 35, 4ss: I lettura). Nella Bibbia risuona con grande frequenza l'invito al coraggio e a superare la paura. Chi di noi non si ritrova - almeno qualche volta - fra gli "smarriti di cuore", cioè disorientati, confusi anche nella fede, sfiduciati, per le molteplici prove e sofferenze che affliggono la nostra vita?
Non è uno dei tanti incoraggiamenti che a parole si scambiano tra gli uomini, e che spesso rimangono vuoti e banali. Ma è Dio stesso che ci incoraggia. Se lo fa', è segno che si coinvolge e interviene. E' assai diverso il nostro comportamento: spesso riteniamo che il nostro impegno nei confronti di una persona si esaurisca nel dirle "Coraggio!". L'incoraggiamento di Dio, invece, poggia sulle basi più solide: "Ecco il vostro Dio (gli appartenete e vi appartiene). Egli viene a salvarvi". E' una salvezza integrale la sua: "Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi...griderà di gioia la lingua del muto". L'intervento di Dio eliminerà radicalmente tutto ciò che insidia o limita la vita, la salute, la libertà, la relazione piena tra gli uomini. Guarirà non solo i ciechi - sordi - muti sul piano fisico, ma anche su quello spirituale: coloro che non vedono la presenza e l'azione di Dio nella storia e nella loro vita, coloro che sono sordi alla sua parola, coloro che sono incapaci di dialogare con Lui.
Nel gesto di Gesù che risana un sordomuto si compie la promessa di Dio nel profeta Isaia: il Signore manifesta il suo amore concreto verso i deboli e i sofferenti. Gesù si rivela come il "Salvatore" dei malati: gli sta a cuore la loro integrità fisica, non tollera la loro emarginazione e vuole il loro reinserimento pieno nella società.
In un altro passo del Vangelo Gesù affermerà che la vera identità del Messia - e quindi anche della sua comunità - si riconosce dall'amore efficace verso i malati e i sofferenti (cfr. Mt. 11, 2-6; Lc 7, 18-23). Qualunque opera di misericordia, anche piccola, che i discepoli compiono in favore di quanti sono infermi nel corpo e nello spirito, consente a Gesù di incontrarli e di alleviare le loro pene.
Il modo con cui opera il miracolo è originale. Fa gesti insoliti, strani. Anzitutto lo "porta in disparte, lontano dalla folla". Non intende compiere un atto plateale che riscuota l'applauso. Vuole mettere a proprio agio il sordomuto, lontano dalla confusione. Poi "gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua". Sono gesti magici? Si tratta di un sordomuto (il termine "muto" propriamente significa "che parla a stento, balbuziente), uno cioè che ha scarsa capacità di comprendere le parole. Compiendo certi gesti, Gesù desidera fargli capire che intende guarirlo: per es. la saliva per gli antichi aveva proprietà terapeutiche. Ha bisogno che il malato non subisca passivamente la sua azione, ma si senta coinvolto. Ciò che vale più di tutto per Gesù è il rapporto personale col malato. Desidera convincerlo che è già un dono immenso incontrare Lui, prima ancora che essere guarito. E' come se gli dicesse, con questo contatto anche fisico,: Tu sei molto importante per me! La mia attenzione è tutta per te: non ci sei che tu! Non sei uno della serie, ma unico! E' il mio amore personale che ti risana! Non è in questo modo che anche noi dovremmo trattare le persone, specialmente quelle che soffrono?
Gesù "guarda verso il cielo", esprimendo la sua relazione con Dio nello slancio della preghiera. Ed "emise un sospiro": segno della sua intima e irresistibile partecipazione alla sofferenza.
Il rapporto con Dio precede e fonda la compassione di Gesù per la miseria dell'uomo. Subito pronuncia una parola che Marco riporta nella lingua di Gesù (aramaica) e traduce subito per i lettori greci: "Effatà, cioè: Apriti!". Questo imperativo non è rivolto agli organi malati (orecchi e lingua), ma alla persona del sordomuto. Non è tanto una parte del corpo che viene curata, ma sempre una persona.
La guarigione è immediata, prodotta dalla parola di Gesù. E' una vittoria contro il potere del male in tutte le sue dimensioni. In effetti, il miracolo ha un significato molto più ampio della semplice guarigione fisica, per quanto già questa sia stupefacente. Gesù lo compie in territorio pagano e il guarito è un pagano. Il sordomuto è il rappresentante dei pagani "sordi" nei riguardi del vero Dio e incapaci di lodarlo. La forza divina della parola di Gesù lo libera dalla sordità spirituale e lo mette in grado di proclamare la sua fede in Dio. Il testo precisa che "parlava correttamente". Allora l' "Apriti!", che Gesù dice al sordomuto, è l'appello che rivolge ai pagani perché si aprano ad accogliere il gioioso annuncio del Vangelo e riconoscano così il vero Dio nella fede e nella lode. L' "Apriti!" di Gesù, però, non è un semplice comando, ma opera la guarigione.
In questa parola che Gesù pronuncia nel contatto fisico col malato possiamo cogliere un'allusione al sacramento del Battesimo, dove colui che è sordomuto spiritualmente ricupera la perfetta salute.
Il sordomuto è simbolo di una persona che è incapace di dialogo con Dio e col prossimo. Non sa ascoltare la voce di Dio, la sua parola. Di conseguenza ( è muto perché è sordo) non sa parlare con Lui. Non sa ascoltare il prossimo, non è attento alle sue necessità. Di conseguenza non sa dirgli la parola vera ed efficace che è dettata dall'amore.
Tale incapacità è vinta da Gesù. Nonostante la consegna del silenzio, la folla diffonde la notizia del miracolo e riconosce unanimemente: "Ha fatto bene ogni cosa". C'è qui il richiamo al passo della Genesi che conclude il racconto della creazione: "Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco era cosa molto buona" (Gn. 1, 31). Gesù riporta la creazione al suo splendore originale, anzi inaugura la nuova creazione. "Fa udire i sordi e parlare i muti". Si ha il riferimento alla promessa di Isaia (I lettura). Ma è anche un'affermazione sull'identità di Gesù e sull'opera che Lui, e Lui soltanto, continua a compiere. Conosciamo l'augurio-preghiera del sacerdote quando ripete i gesti di Gesù sugli orecchi e le labbra del bimbo appena battezzato: "Il Signore Gesù, che fece udire i sordi e parlare i muti, ti conceda di ascoltare presto la sua parola, e di professare la tua fede, a lode e gloria di Dio Padre". Queste parole esprimono tutto un programma di esistenza cristiana. Sono un richiamo a misurare l'autenticità del nostro ascolto: "Gli orecchi sono i veri organi del cristiano" (Lutero). Nello stesso tempo ci sollecitano a verificare costantemente la qualità della nostra preghiera, del nostro annuncio, di una fede limpida "che non si mescola a favoritismi personali" (Gc. 2,1: II lettura).

Il nostro udito e la nostra lingua, sotto il profilo spirituale, godono buona salute?
Che cosa mi rende sordo alla voce di Dio e degli altri, e mi impedisce di parlare cuore a cuore con Lui e con loro?

Il sordomuto del Vangelo è stato guarito perché ha avuto la fortuna di incontrare qualcuno che si è interessato di lui e lo ha condotto da Gesù. La società di oggi trabocca di "sordomuti". Sarebbero molti di meno se qualcuno li facesse incontrare con Gesù. Qualcuno che potrebbe essere, dovrebbe essere ognuno di noi.

Gesù dice anche a me: "Apriti!". Cioè diventa persona di dialogo con Dio e con i fratelli, come Maria. Mentre me lo dice, se me lo lascio dire, me lo concede. Lo pregherò per me e per gli altri: "Aprimi! Aprici!". Allora tanti sordi e muti verranno guariti da Gesù. E a tutti gli "smarriti di cuore" potremo dire in modo credibile ed efficace: "Coraggio!". Sarà Gesù stesso a dirlo attraverso di noi.