Omelia (17-09-2006) |
don Romeo Maggioni |
Tu sei il Cristo La domanda oggi è bruciante e personale: chi è per te questo Gesù in cui dici di credere? "E voi chi dite che io sia?". A Gesù non interessa quello che sappiamo per sentito dire: lo sa anche lui che la gente - l'opinione pubblica, anche così detta culturale - non lo conosce nel modo giusto, e non lo riconosce; vuole che si prenda posizione personale, anzi che si passi da una opinione a una decisione di fede e quindi ad un ingaggio di vita. Fino a questo punto del vangelo di Marco tutti hanno spiato dai gesti e dai detti per capire che tipo di persona era questo Gesù. Ora è Lui, Gesù, a sollecitare la domanda e a dare finalmente una risposta esplicita: "Gesù incominciò a insegnar loro..; e faceva questo discorso apertamente". Vale la pena allora oggi di sentire la sua risposta, resa in un modo drammatico dal contraddittorio con Pietro. 1) IL MESSIA CROCIFISSO Qualcuno che l'aveva seguito con attenzione aveva capito bene chi era questo Gesù; non era un profeta qualunque, ma colui che i profeti avevano preannunciato, il Messia. Pietro lo dichiara con forza e convinzione: "Tu sei il Cristo". Era una affermazione grande, che anche noi oggi - abituati come siamo a chiamare Gesù il Cristo - non percepiamo sempre nella sua portata. Definire Gesù come il Messia significa che quanto l'uomo spera per la fine dei tempi - la realizzazione definitiva di tutte le cose - è già diventato realtà nel nostro mondo per mezzo di questo uomo ebreo. San Paolo un giorno dirà che Gesù è il sì, cioè la risposta definitiva - ed eccedente - alle attese dell'uomo: è il primogenito della nuova creazione, il tipo di uomo che sogniamo tutti di divenire. Ma che tipo di Messia è questo Gesù? Le attese degli uomini sono molte, le aspettative che si hanno nei confronti di Dio sono diverse: quali quelle giuste? In tutto il vangelo di Marco Gesù sembra timoroso di mostrarsi troppo in fretta: "E impose loro severamente di non parlare di lui a nessuno". Era facile equivocare sulla sua missione. Ecco allora la sua precisazione: "E incominciò a insegnar loro che il Figlio dell'uomo doveva molto soffrire, ed essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, poi venire ucciso e, dopo tre giorni, risuscitare". A buon conto, sembra dire Gesù, guardate che il Messia voluto da Dio è un po' diverso da quello che voi pensate. Aspettate a conoscerlo fino in fondo quando sarà alla fine. Del resto proprio questa era l'immagine del Messia descritta dal profeta Isaia: "Ho presentato il dorso ai flagellatori, la guancia a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi" (I lett.). È l'immagine del Servo sofferente che salva espiando il peccato di molti. Un tale Messia sconcerta e scandalizza. Pietro reagisce con impulsività: "Allora Pietro lo prese in disparte, e si mise a rimproverarlo". Pure noi rimaniamo perplessi: non riusciamo a capire fino in fondo quel "doveva molto soffrire". Perché una tal sorte per il Figlio di Dio? Non lo comprendiamo perché non riusciamo a percepire lo spessore grave del peccato! Comunque la controreazione di Gesù è violenta: paragona Pietro a quel Satana che nel deserto aveva tentato di distoglierlo dalla sua missione. "Lungi da me, satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini". Il disegno e il modo di fare di Dio è così diverso dal nostro...! Eppure c'è ancora gente che pensa il cristianesimo un innocuo buon senso. I suoi paradossi invece sono lo specifico, e, del resto, il segno di un tocco divino. Si tratta di crederli come la strada più giusta. 2) IL DISCEPOLO CHE PRENDE LA SUA CROCE Perché qui sta il punto: quello stile, quel morire in croce di Gesù deve divenire emblema e sorte anche del suo discepolo. Rimproverato Pietro, impauriti i discepoli, Gesù rincara la dose: "Convocata la folla insieme ai discepoli, disse loro: Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua". Qui non scherza. Il meno che si possa pensare è che ciascuno deve essere pronto anche a rimetterci la pelle pur di non tradire la propria scelta, cioè Gesù. Niente va preferito a Lui, anche a costo della vita: "Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà". In una forma o in un'altra, ciascuno nelle circostanze dell'esistenza quotidiana si troverà davanti a delle scelte che potranno essere a volte veramente crocifiggenti. Perché una parola così dura? Noi che cerchiamo a tutti i costi di salvare la vita, ci spaventa questa radicalità di Cristo. Eppure sta proprio qui il cuore della fede. In fondo, che cosa guadagniamo noi con tutti i nostri sforzi per la vita? La morte ci aspetta comunque. È tutto quello che riusciamo a ottenere da noi. L'aver rifiutato il Dio della vita - questo è il peccato - ci ha resi incapaci di salvarci da soli. Il salto da compiere è proprio questo: fidarci unicamente e pienamente di Dio per riavere la vita, la vita ricevuta da Lui come regalo, non come nostra conquista. Per dimostrare un tale scacco delle nostre presunzioni e l'affidamento pieno a Dio, non c'è linguaggio più efficace di quello del sacrificio, cioè della croce. Sta in questa verità il senso unico della sofferenza e della morte - cioè della croce - nella esistenza cristiana redenta. Da ciò deriva che la nostra identità di cristiani si manifesta alla fine più in una vita che in tante parole: in quella coerenza che sa passare anche dalla prova bruciante della croce. Ce lo richiama oggi san Giacomo: "Che giova, fratelli miei, se uno dice di avere la fede ma non ha le opere? La fede, se non ha le opere, è morta in se stessa". Quanto riempirci la bocca di amore e carità,... e poi? "Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro: Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi, ma non date loro il necessario per il corpo, che giova?". Se la croce di Gesù è stato il segno dell'amore di colui "che ha dato la sua vita per i suoi amici", la nostra stessa croce dovrà avere come sigla la gratuità più piena, la carità più vera. Ecco, la vita attraversata dal mistero della croce: suona duro al nostro orecchio. Non riusciremo mai qui in terra a togliere il mistero di questa inevitabile sofferenza. Possiamo solo fare credito a Dio, il credito più difficile, e attendere il giorno in cui sapremo alla fine perché mai il Padre, che tanto ci ama, non abbia potuto dare né al suo Figlio né a noi, una vita senza la croce! |