Omelia (17-09-2006)
Suor Giuseppina Pisano o.p.


«Tu sei il Cristo»; è la risposta di Pietro all' insolita domanda del Maestro:«E voi chi dite che io sia?».
La gente che seguiva Gesù, affascinata dalle sue parole, e ammirata dai suoi miracoli, aveva intuito che, in quel rabbi c'era qualcosa di straordinario, una autorevolezza che gli altri maestri della legge non avevano, e una bontà verso gli ultimi, veramente poco o affatto conosciuta, tra i capi religiosi del tempo. La gente lo stimava come un profeta, un grande profeta simile a Giovanni Battista, che li aveva richiamati alla conversione, o a Elia, di cui si diceva, sarebbe tornato.
Queste le opinioni correnti, ma, al Maestro, interessava conoscere il pensiero dei suoi discepoli, le persone più vicine, più familiari, che aveva associato alla sua predicazione, e alle quali aveva svelato il senso delle parabole e dei miracoli.
Quella di Gesù, non è una curiosità, ma è un modo per far affiorare la fede dei suoi, e per aprire la via ad una rivelazione più chiara del suo "segreto messianico"
E' un passo importante, questo del Vangelo di Marco, un passo, che tutti commentatori, ritengono centrale, sia perché è collocato alla metà del testo, sia perché è in questo momento, che il Maestro, inizia a sollevare il velo, che avvolge la sua persona e sua vera identità di Figlio di Dio, e la sua missione di Salvatore.
Matteo, riferendo il medesimo episodio, mette in bocca a Pietro, una risposta più completa:
"Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente" ( Mt. 16,16) un 'esperienza di fede che suppone l'evento della resurrezione; Marco, invece, riferisce l'episodio nella sua realtà, quasi a sottolineare il fatto che, nel discepolo, nonostante quella singolare professione di fede, restano delle zone d'ombra; egli sa, per rivelazione, che Gesù è il Messia promesso, il "Consacrato del Signore", ma, quasi sicuramente, crede ad un Messia trionfatore, così, come tutti lo aspettavano.
Gesù accoglie la professione di fede di Pietro, ma, nel resto del discorso, chiarisce quale sia il destino del Figlio dell' uomo, quel Servo di Jahwè, di cui Isaia aveva profetato, l'uomo dei dolori, che non ha niente di trionfalistico, anzi, assomiglia soltanto ad uno sconfitto. "E cominciò a insegnar loro che il Figlio dell'uomo doveva molto soffrire, ed essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli, scribi, poi venire ucciso..."
Un discorso di quelli 'duri', difficili da accettare, così, come è difficile da accettare la sofferenza, o convivere col dolore e con l'ingiustizia, almeno, questo è il comune sentire.
A questa parole, Pietro, l'uomo illuminato da Dio, che aveva professato la sua fede nel Cristo, rifiuta, con forza, la prospettiva presentata dal Maestro, tanto che, "lo prese in disparte, e si mise a rimproverarlo..."; ma le sue parole, dettate sicuramente dall'amicizia, o da un affetto che egli reputava buono, sono, in realtà, molto somiglianti alle parole del Tentatore, che Gesù aveva udito nel deserto, agli inizi della sua vita apostolica.
Le parole di Pietro, sono parole che contrastano il progetto salvifico del Padre, per il quale il Figlio si è fatto uomo, "si è fatto obbediente fino alla morte..." come Paolo scrive (Fil.2, 6-11)
«Lungi da me, satana! Perché, tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini».
Con queste parole, veramente forti, Gesù proclama che la sua missione, viene dal Padre, che tutta la sua persona, parla ed opera in obbedienza a Lui.
Si, Gesù di Nazareth è il Cristo, il Figlio di Dio, del quale Isaia aveva scritto: "Il Signore Dio mi ha dato una lingua da iniziati, perché io sappia indirizzare allo sfiduciato una parola.... Il Signore Dio mi ha aperto l'orecchio, e io non ho opposto resistenza, non mi sono tirato indietro. Ho presentato il dorso ai flagellatori, la guancia a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi. Il Signore Dio mi assiste, per questo non resto confuso, per questo rendo la mia faccia dura come pietra, sapendo di non restare deluso..." ( Is.50,3-9)
Sono le parole della prima lettura di questa domenica e ritraggono al vivo la passione del Signore, passione e morte che rispondono alla logica dell'amore, e non sono, certo, esaltazione della sofferenza per la sofferenza, e, tanto meno, una resa alla violenza.
Ricordo la domanda che una persona rivolse ad un noto teologo, un confratello domenicano, che parlava, appunto, del dolore; a chi ne chiedeva, per l'ennesima volta, ragione, indicando un crocifisso disse: "Chiedetelo a Lui, chiedetegli perché è andato a mettersi lì, Lui che è l'Amore "
Si, l'Amore è Cristo crocifisso e risorto, ma pur sempre crocifisso.
Nient'altro che l'amore, attento al progetto di Dio, e in ascolto di Lui, può spiegare il resto del discorso che Gesù fa in questa circostanza, e, non più soltanto ai discepoli, ma alla folla che lo aveva seguito, e, in essa, a tutti coloro che, nel tempo, si sarebbero messi alla sua sequela: «Se qualcuno vuoi venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché, chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita, per causa mia e del vangelo, la salverà».
E' nel segno della fedeltà a Cristo, che anche il dolore, ed ogni situazione crocifiggente, si trasforma, e ci trasforma, assimilandoci al Redentore e rendendoci testimoni del Vangelo.
Si, anche l'esperienza più amara, se illuminata dall'autentica fede nel Figlio di Dio, può trasformarsi in sorgente di luce e di amore, che consola, che soccorre, che si dona a chiunque sia nel bisogno, morale, spirituale o economico.
"Che giova, fratelli miei, se uno dice di avere la fede ma non ha le opere?- scrive l'apostolo Giacomo- Forse che quella fede potrà salvarlo? Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano, e uno di voi dice loro:«Andatevene in pace, riscaldatevi e
saziatevi», ma non date loro il necessario per il corpo, che giova? Così anche la fede: se non ha le opere, è morta in se stessa. Al contrario uno potrebbe dire: «Tu hai la fede ed io ho le opere; mostrami la tua fede senza le opere, ed io con le mie opere ti mostrerò la mia fede.»
Credere che Gesù è il Figlio di Dio Redentore, contemplarlo, oltre il velo di quel "segreto messianico", mettersi, con Lui in ascolto del Padre, riuscire a scorgerlo presente nel dolore, nostro e degli altri, percorrere, con Lui, la via di Dio, non è mai un fatto privato, né qualcosa che riguardi la sfera del sentire personale, credere significa anche operare, operare alla maniera di Cristo, nell'obbedienza e nell'amore.



sr M: Giuseppina Pisano o.p.
Monastero SS.mo Rosario
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