Omelia (24-09-2006)
Suor Giuseppina Pisano o.p.
Commento Marco 9,30-37

Gesù, ormai, è incamminato verso Gerusalemme, la sua vita si avvia verso il momento supremo del sacrificio, la "sua ora", ed Egli prepara i suoi, a questa sconcertante esperienza, con un discorso, in cui viene sollevato il velo sul "segreto messianico"; il Cristo si svela nella sua divinità, e in tutta la sua umana vulnerabilità:"...e cominciò a insegnar loro che il Figlio dell'uomo doveva molto soffrire, ed essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli, scribi, poi venire ucciso e, dopo tre giorni, risuscitare...."
L'accenno del Maestro alla resurrezione, non era stato colto, neppure in precedenza, un sogno troppo lontano, ed inverosimile, per poter far presa sulle menti di quei discepoli, affascinate da un Messia glorioso e trionfante.
L'immagine del Servo di Jahwè, umiliato e sofferente, di cui Isaia aveva parlato, era lontana dai loro pensieri, e, mai, avrebbero potuto immaginare che egli fosse presente tra loro, e fosse, proprio, quel Maestro che desideravano seguire, Lui, il solo che avesse parole di vita eterna, Lui che aveva fatto bene ogni cosa, Lui il " Giusto " come lo definisce il Libro della Sapienza, ( Sap. 2, 12. 17 29).
Anche l'autore di questo libro sacro, preannunciando il destino del Salvatore, ne profetizza le sofferenze da parte di uomini arroganti e malvagi: "Dissero gli empi: «Tendiamo insidie al giusto, perché ci è di imbarazzo, ed è contrario alle nostre azioni... Vediamo se le sue parole sono vere;...Se Il giusto è figlio di Dio, Egli l'assisterà, e lo libererà dalle mani dei suoi avversari. Mettiamolo alla prova con insulti e tormenti, per conoscere la mitezza del suo carattere e saggiare la sua rassegnazione. Condanniamolo ad una morte infame, perché secondo le sue parole il soccorso gli verrà»."
Sono parole che assomigliano a quelle di sfida che verranno rivolte al Crocifisso: "O tu, che puoi distruggere il Tempio e riedificarlo in tre giorni,...se sei il Figlio di Dio, scendi dalla croce!" e, allo stesso modo, anche gli scribi e gli anziani, lo deridevano: "Ha salvato gli altri e non può salvare se stesso: se è il Re di Israele, scenda dalla croce, e gli crederemo. " ( Mt. 2,40-42)
Il Figlio di Dio, non si sottrarrà al dolore, non scenderà dalla croce, ma risorgerà, il terzo giorno, e si mostrerà ai suoi, che stenteranno, ancora, a credere.
Troppo difficile cogliere il messaggio di speranza, contenuto nell'annuncio della resurrezione, e troppo ripugnante, alla natura umana, la prospettiva del dolore, che sfocia nella sconfitta della morte; è più accattivante il sogno del Messia glorioso, del capo potente, assieme al quale dividere il potere.
Erano questi i pensieri e i discorsi dei discepoli, che si accompagnavano a Gesù, essi sentivano le sue parole, ma la loro mente era altrove, e il loro discorrere era, diverso da quello del Maestro.
Anche la madre di Giacomo e Giovanni, aveva chiesto per i suoi figli il potere:" Ordina, che questi due miei figli, siedano uno alla tua destra, e uno alla tua sinistra nel tuo regno" ( Mt.20,21)
Ma il Regno di Dio, non è questione di 'potere' e Gesù, una volta rientrati in casa, mostrerà la vanità dei loro sogni di grandezza, proponendo ancora una volta, l'ultimo posto e il servizio.

Questa di Gesù, è una proposta, che non segue la logica del mondo, ma quella dell'amore che si dona, quell'amore che aveva determinato l'Incarnazione del Figlio di Dio e che, sola, lo spingeva ad affrontare il tormento della passione e della morte, per la redenzione di tutti.
La tentazione del potere, è la più subdola, si insinua in ogni dove, solletica la vanità e la smania di dominare; non esiste nessuno, che ne sia esente; anche il Signore, fu tentato, come leggiamo nel racconto di Matteo ( 4,8-10),
"...il diavolo lo condusse con sé, sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro magnificenza. E gli disse: «Tutte queste cose io te le darò. Se prostrato a terra, mi adorerai», ma Gesù lo cacciò via.
Non è da stupirsi, se la tentazione del potere ci alletta, la ritroviamo in ogni campo, politico, sociale, economico e, anche in quello religioso.
Riguardo al governo delle comunità religiose, il grande Agostino ammoniva: "Chi presiede, non si stimi felice perché domina col potere, ma perché serve con la carità" ( Reg.cap. XII )
Questa del potere, è una tentazione, che ha delle conseguenze nefaste, come indica Giacomo nella sua lettera: "Da che cosa derivano le guerre e le liti che sono in mezzo a voi? Non vengono forse dalle vostre passioni che combattono nelle vostre membra? Bramate e non riuscite a possedere e uccidete; invidiate e non, riuscite.ad ottenere, combattete e scatenate guerra! Non avete, perché non chiedete; chiedete e non ottenete, perché chiedete male..." (Gc. 3, 16 4, 3)
A questa pericolosa logica di dominio, Gesù sostituisce quella del servizio, a quella del primo posto, quella dell'ultimo.
«Se uno vuol essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servo di tutti»; e sarà lui stesso a darne un esempio concreto in quell'ultima cena tra i suoi, quando, levatosi da tavola e cintosi con un panno, prenderà un catino d'acqua per lavare i piedi ai suoi discepoli, spiegando, poi, il gesto, con queste parole:
"Capite che cosa vi ho fatto? Voi mi chiamate Maestro e Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi, dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri." (Gv, 13,1-14) Non dominatori dei nostri simili, dunque, ma al servizio di chiunque e di qualunque bisogno.
L'idea del servizio è difficile da realizzare, occorre un serio percorso nella via dell'umiltà sincera, una virtù che richiede tempo, fatica, e vita di preghiera, per esser acquisita.
Quello del servizio, è un atteggiamento interiore, profondo, un modo per assomigliare a Cristo e imparare ad amare come Lui ha amato, Lui che "ha assunto la condizione di servo, per divenire simile agli uomini" (Fil.2,6) e così, redimerli.
Parlando della necessità dell'ultimo posto e del servizio, questa volta, il Maestro prende come simbolo un bambino, "E preso un bambino, lo pose in mezzo"
In Israele, come nelle altre culture, il bambino non poteva, certo, stare al centro dell'attenzione, egli era un essere trascurabile, senza diritti, somigliava, in qualche misura, ad uno schiavo, non poteva parlare in pubblico, non poteva possedere, viveva sotto tutela ed obbediva.
Eppure, anche in un'altra occasione, Gesù aveva detto, che solo diventando simili ai bambini si può entrare nel regno del Padre. Soltanto coltivando uno spirito semplice, capace di stupore, capace di accogliere e ricambiare l'amore, così come è del bambino, il quale si affida totalmente a chi lo ama e lo cura, si può entrare nel Mistero di Dio, e nel suo Regno.
C'è un salmo, che in pochi versetti, descrive cosa sia questa " infanzia" di cui Gesù parla:
"Signore, non si inorgoglisce il mio cuore
non si leva con superbia il mio sguardo.
Non vado in cerca di cose grandi,
superiori alle mie forze,
Ma, come bimbo svezzato in braccio a sua madre,
tale è l'anima mia. " ( sl.130)
Sappiamo, che questo percorso di infanzia spirituale è possibile, Teresa di Lisieux l'ha realizzato, come anche la sua grande consorella Elisabetta della Trinità, e, come loro tanti altri, fino ai nostri giorni, che hanno visto la santità di quella piccola grande donna, che era Teresa di Calcutta, la
"matita di Dio"; colei che ha speso tutta la sua vita al servizio dei più poveri, tra i poveri, una moltitudine con la quale avrebbe voluto riempire il Cielo, una moltitudine di senza-nome e senza-voce che era l'oggetto privilegiato del suo servizio di carità.


sr Maria Giuseppina Pisano o.p.
mrita.pisano@virgilio.it