Omelia (10-09-2006)
mons. Vincenzo Paglia
Fa udire i sordi e fa parlare i muti

Introduzione

Un sordomuto. Assomiglia molto a noi, quando siamo nel peccato.
Possiamo avere accanto Dio, che ci sussurra le parole più dolci e imperiose. Non lo sentiamo. Possiamo aver vicino le persone più acute e più buone, che desiderano aiutarci. Non prestiamo attenzione. O passiamo davanti a chi ha bisogno di un conforto, di una speranza. È come se fossimo soli al mondo, chiusi nel nostro egoismo.
Ma se il sacramento di Cristo ci raggiunge... Può essere la Chiesa che battezza o ci offre il perdono a nome del Signore Gesù. Le dita, la saliva, l'"apriti" possono essere l'acqua o la mano benedicente che si leva su di noi: "Io ti battezzo"; "Io ti assolvo".
Allora avviene nuovamente il "miracolo".
Diventiamo capaci, per grazia, di udire le consolazioni e i suggerimenti e gli imperativi di Dio. Diventiamo capaci di rispondergli con la preghiera e con la vita.
E il prossimo è colui che dev'essere ascoltato e confortato. Nasce la fraternità.
Se ci lasciamo salvare dal Signore. Se aderiamo a lui con tutte le forze.

Omelia

L'episodio della guarigione del sordomuto ci coglie mentre riprendiamo la nostra vita ordinaria. In verità, potremmo anche dire che questo brano ci ha incontrato sin dal giorno del battesimo, quando il sacerdote fece su di noi esattamente quello che Gesù compie sul sordomuto.
Toccandoci le orecchie e la bocca, il sacerdote disse: "Il Signore ti conceda di ascoltare presto la sua Parola e di professare la tua fede".
Fin dall'inizio della nostra vita-quando è ancora impossibile ascoltare parole-ci viene comunque detto che l'ascolto della Parola è la nostra salvezza. Senza dubbio l'episodio evangelico riportato da Marco assume un valore simbolico per l'intero anno che ci sta davanti, oltre che per l'intera vita.
Gesù si trova nella regione pagana di Tiro (la Decapoli). Operare in quella terra il miracolo significa l'apertura universale del Vangelo: ogni uomo e ogni donna, ovunque essi abitino e a qualunque cultura appartengano, possono essere raggiunti dalla Parola di Dio e toccati dalla Sua misericordia.
Marco parla di un sordomuto o meglio di un uomo affetto da grave balbuzie (la guarigione infatti consisterà nel parlare correttamente), il quale viene condotto davanti a Gesù per essere guarito.
Gesù lo porta in disparte, lontano dalla folla, quasi a sottolineare la necessità di un rapporto personale diretto, intimo, tra lui e il malato. I miracoli, infatti, a differenza di quel che superficialmente si crede, non avvengono in un clima di esaltazione e di magia, ma nell'ambito di un'amicizia profonda e fiduciosa in Dio.
Gesù conduce in disparte quell'uomo e, seguendo un'antica consuetudine, gli pone le dita sugli occhi e poi con la saliva gli tocca la lingua. Scocca come una corrente di amore mentre Gesù tiene le mani di quel malato.
Accade sempre così quando si tengono le mani ai malati, quando si sostengono le braccia di chi è debole, quando si è vicini con amore e affetto a chi è solo e bisognoso di aiuto.
Gesù, amico degli uomini, soprattutto dei deboli, guarda con affetto e con misericordia quell'uomo.
Forse pensava anche a questo episodio l'apostolo Giacomo quando nella sua lettera esorta i cristiani ad avere un'attenzione prioritaria ai poveri e ai deboli.
E' vero che Dio non fa preferenze di persone. Ma è altrettanto vero che il suo cuore è come sbilanciato verso i poveri e i deboli. Questi ultimi sono i primi nel Vangelo.
Così deve essere per ogni credente e per ogni comunità cristiana. Gesù ha accolto quel sordomuto. E sta con lui, in disparte. Forse gli parla; poi alza gli occhi al cielo, verso il Padre, come per presentargli quel povero sordomuto ed emette un profondo sospiro.
E' la preghiera di Gesù. In essa egli unisce l'intercessione a Dio che tutto può con la profonda commozione per quell'uomo malato, bisognoso di salvezza. Così aveva fatto anche prima della moltiplicazione dei pani, quando si commosse sulla folla stanca e sfinita e poi "alzò gli occhi al cielo" (Mc 6, 41).
Gesù sente un sussulto nel petto, una forza che viene da dentro, e dice al sordomuto: "Effatà!", ossia "Apriti!" E una sola parola, ma sgorgata da un cuore pieno dell'amore di Dio. "Subito - nota l'evangelista - si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente".
Tornano in mente le parole rivolte a Gesù dal centurione: "Signore, dì soltanto una parola e il mio servo sarà guarito" (Mt 8, 8). E riecheggia la forte esortazione di Isaia al popolo d'Israele schiavo in Babilonia: "Dite agli smarriti di cuore: Coraggio! Non temete! Ecco il vostro Dio viene a salvarvi. Allora si apriranno gli occhi ai ciechi e si schiuderanno gli orecchi ai sordi".
Quel giorno, in quell'angolo sperduto dell'attuale Libano del Sud, "Dio era venuto a salvare" quell'uomo dalla sua malattia.
La forza di Dio però non si manifestava con clamore e strepito. Ci fu solo "una" parola. Sì, perché delle parole evangeliche ne basta una sola per cambiare l'uomo, per trasformare la vita; quel che conta è che sgorghi da un cuore appassionato come quello di Gesù e che sia accolta da un cuore bisognoso come quello del sordomuto.
Gesù, potremmo dire, non si rivolge all'orecchio e alla bocca ma all'uomo intero, all'intera persona. E al sordomuto, non al suo orecchio, che dice: "Apriti!". Ed, infatti, è l'uomo intero che guarisce "aprendosi" a Dio e al mondo.
Il miracolo, tuttavia, si realizza come in due tappe. Anzitutto Gesù tocca le orecchie: è necessario che l'uomo si "apra" all'ascolto della Parola di Dio poi, ed è la seconda tappa, tocca la lingua: quell'uomo, dopo aver ascoltato, può parlare correttamente.
Sì, c'è un legame stretto tra ascolto della parola e capacità di comunicare. Chi non ascolta resta muto, anche nella fede. Spesso, in questo anno, commentando le Scritture, ci siamo fermati a riflettere sulla decisività dell'ascolto della Parola di Dio per il credente.
Questo miracolo ci fa riflettere sul legame che c'è tra le nostre parole e la Parola di Dio. Spesso noi non poniamo sufficiente attenzione al peso che hanno le nostre parole, al valore che ha il nostro stesso linguaggio.
Eppure attraverso di esso esprimiamo noi stessi molto più di quanto crediamo. E non di rado sprechiamo le nostre parole o, peggio, le usiamo male.
Il miracolo che ci è stato annunciato non riguarda tanto il ridare la parola, quanto il far parlare correttamente. Potremmo dire che ci troviamo di fronte al miracolo del parlare bene, alla guarigione da un parlare diviso e cattivo, come Giacomo stigmatizza. E chi di noi non deve chiedere al Signore di liberarlo da un parlare troppo scorretto, talora persino violento e cattivo, bugiardo e malevolo? Spesso, troppo spesso, dimentichiamo la forza costruttrice o distruttrice della nostra lingua.
E' necessario perciò anzitutto ascoltare la "Parola" di Dio perché essa purifichi e fecondi le nostre "parole", il nostro linguaggio, il nostro stesso modo di esprimerci. Per i cristiani si tratta di una responsabilità gravissima, perché l'unico modo che abbiamo di compiere la missione evangelizzatrice è attraverso il bagaglio delle nostre "parole".
Sono povere, ma incredibilmente efficaci; possono trasportare le montagne, se riflettono la Parola.
Le nostre parole hanno una importanza terribile. Gesù dice: "Nel giorno del giudizio gli uomini dovranno rendere ragione di ogni parola inutile da essi detta; poiché sulle tue parole tu sarai giustificato e sulle tue parole tu sarai condannato" (Mt 12 37).
La guarigione del sordomuto diviene emblematica mentre riprendiamo il nostro normale lavoro, perché ci indica che dobbiamo anzitutto ascoltare Dio e poi comunicare agli uomini il suo amore.