Omelia (12-11-2003) |
padre Lino Pedron |
Commento su Luca 17, 11-19 Questo brano è il racconto di un miracolo; ma più che sul fatto in sé l'attenzione viene richiamata sul diverso comportamento dei miracolati: sulla loro cieca fiducia in Gesù e sulla poca gratitudine che gli dimostrano dopo la guarigione. L'ingratitudine è ciò che più ferisce e amareggia l'uomo e quindi è l'atteggiamento che più addolora Gesù. Il Cristo non rimane indifferente davanti ai comportamenti degli uomini nei suoi riguardi. Egli è sensibile all'amicizia, all'affetto, all'amore delle persone così come è dispiaciuto della dimenticanza, dell'ingratitudine, delle offese e ancor più dell'odio. Un samaritano aveva dato una lezione di carità a due ufficiali del tempio (Lc 10,25-37), un altro samaritano impartisce una lezione di riconoscenza ai suoi compagni di sventura e di guarigione, i lebbrosi ebrei. Nel samaritano "straniero" (v.18) si trovano le disposizioni che aprono l'anima alla salvezza: la riconoscenza, la lode, la coscienza della propria miseria, l'umiltà. Il miracolo nella Bibbia è un'attestazione della presenza di Dio nella storia. Ogni tanto egli fa sentire all'uomo la sua presenza per ricordargli che non è solo. Ma anche senza miracoli tale certezza non deve venir meno. La riconoscenza è la risposta dell'uomo che ha ricevuto il dono di Dio. Il vangelo, la fede, la salvezza sono doni da accogliere con gioiosa gratitudine. La strada della salvezza è aperta a tutti. Ciò che salva è la fede che ci rende disponibili all'azione salvifica di Dio che si compie per mezzo di Gesù Cristo. All'unico credente Gesù chiede conto anche degli altri nove. Dalla fede nasce la missione. Il credente è responsabile davanti a Dio di tutti i suoi fratelli e si mette necessariamente alla ricerca degli assenti. |