Omelia (17-09-2006) |
padre Antonio Rungi |
La sequela di Cristo sulla via del Calvario La parola di Dio di questa XXIV domenica del tempo ordinario dell'anno liturgico pone alla nostra attenzione nuovamente il Messia, unico salvatore dell'umanità mediante la croce e la risurrezione. E' soprattutto nel Vangelo odierno che questo aspetto della persona e della missione di Gesù Cristo viene messo in risalto in modo che quanti aderiscono a Lui sanno su quale strada di impegno personale si incamminano: la strada della croce, che richiede una totale rinuncia a se stessi, al proprio egoismo, alla propria visione della vita per fare spazio nella propria esistenza all'unico vero motivo del vivere stesso, che è Gesù: per me vivere Cristo e il morire è un guadagno, diceva l'Apostolo Paolo. Anche gli altri testi della liturgia della parola ci riportano lungo la via del Calvario e ai piedi del Crocifisso, quasi a dirci con estrema sincerità che non ci sono percorsi alternativi a questa prospettiva dell'esistenza umana: la via del dolore è una via di tutti e per tutti e la morte è un appuntamento dal quale non possiamo esimerci, anche perché non dipende da noi questo momento ultimo del nostro itinerario terreno. Nella prima lettura, tratta dal Profeta Isaia (qui è riportato parte del terzo canto del Servo sofferente di Javhè, che nel caso specifico è il profeta stesso, ma in lui è prefigurata la persona del Messia sofferente che è calpestato ed umiliato fino alla morte di croce), leggiamo: "Il Signore Dio mi ha aperto l'orecchio e io non ho opposto resistenza, non mi sono tirato indietro. Ho presentato il dorso ai flagellatori, la guancia a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi. Il Signore Dio mi assiste, per questo non resto confuso, per questo rendo la mia faccia dura come pietra, sapendo di non restare deluso. È vicino chi mi rende giustizia; chi oserà venire a contesa con me? Affrontiamoci. Chi mi accusa? Si avvicini a me. Ecco, il Signore Dio mi assiste: chi mi dichiarerà colpevole?". E' la fotografia della situazione in cui si ritroverà Gesù Cristo durante la sua Passione e Morte in Croce, con tutta la farsa del processo di condanna del suo operato e della sua persona in mezzo ad un popolo ribelle e incapace di vedere in Lui l'atteso salvatore e redentore dell'umanità. Anche il Salmo 144 che proclamiamo oggi ci offre l'opportunità di riflettere sul servo di Dio accusato e perseguitato. Quel Servo che va accettato e amato, che va seguito e imitato. Ma sappiamo quanto sia difficile tutto questo per noi esseri mortali ed uomini di poca fede. Tale incapacità viene messa in evidenza nel testo del Vangelo di Marco che ascoltiamo oggi: "In quel tempo, Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarea di Filippo; e per via interrogava i suoi discepoli dicendo: "Chi dice la gente che io sia?". Ed essi gli risposero: "Giovanni il Battista, altri poi Elia e altri uno dei profeti". Ma egli replicò: "E voi chi dite che io sia?". Pietro gli rispose: "Tu sei il Cristo". E impose loro severamente di non parlare di lui a nessuno. E cominciò a insegnar loro che il Figlio dell'uomo doveva molto soffrire, ed essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, poi venire ucciso e, dopo tre giorni, risuscitare. Gesù faceva questo discorso apertamente. Allora Pietro lo prese in disparte, e si mise a rimproverarlo. Ma egli voltatosi e guardando i discepoli, rimproverò Pietro e gli disse: "Lungi da me, satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini". Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: "Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la propria vita la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà". Gesù si presenta come il Messia sofferente che chiama alla sua sequela quanti rinunciando a se stessi vogliono percorrere con lui la strada della Croce. Gesù non vuole creare ed alimentare illusioni nella vita di quanti decidono di seguirlo, compreso Pietro, che sembra essere quello meno disponibile ad accettare un Maestro che muore e muore in un modo ignominioso come quello del patibolo della croce. Ben a conoscenza di quanto lo attendeva e di quanto gli avrebbero procurato gli altri, Gesù si presenta con il suo progetto di vita. Un progetto difficile da condividere, come di fatto succederà durante i giorni della sua Passione, quando praticamente lo abbandonano tutti, tranne quanti avevano capito, nella fede, chi era veramente lui. La Madonna, la sua Madre Addolorata è tra queste persone che si sono incamminate sulla strada percorsa da Gesù per primo. Una strada difficile, ma senza alternative e vie di uscita: una strada a senso unico in ragione all'esistenza in questo mondo. Una strada che, però, si apre all'orizzonte quando balena e si comprende il mistero della risurrezione e quando effettivamente la risurrezione prevarrà sulla croce e sulla morte del redentore. La fede nel Messia richiede l'accettazione completa della persona del redentore, nella sua esperienza di uomo del dolore, ma anche del Risorto. Richiede di perdere la vita per Cristo alfine di guadagnarla totalmente e pienamente. In questa prospettiva si comprende quanto scrive l'Apostolo Giacomo nella sua lettera e particolarmente nel brano che ascoltiamo oggi: "Che giova, fratelli miei, se uno dice di avere la fede ma non ha le opere? Forse che quella fede può salvarlo? Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro: "Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi", ma non date loro il necessario per il corpo, che giova? Così anche la fede: se non ha le opere, è morta in se stessa. Al contrario uno potrebbe dire: Tu hai la fede ed io ho le opere; mostrami la tua fede senza le opere, ed io con le mie opere ti mostrerò la mia fede". La fede in Cristo ci impegna a vivere nella carità e nella solidarietà, senza precludere a nessuno la possibilità di amarci e farsi amare. Tutti devono trovare accoglienza nella nostra vita e nelle nostre opere di bene. Altrimenti rischiamo di fare un discorso astratto e senza senso quando predichiamo solo e non pratichiamo il Vangelo di Cristo, la buona notizia del regno di Dio che necessita di essere accolta e vissuta personalmente e comunitariamente. Vogliamo rinnovare la nostra preghiera in questa giornata con le stesse parole dette all'inizio della celebrazione eucaristica: "O Padre, conforto dei poveri e dei sofferenti, non abbandonarci nella nostra miseria: il tuo Spirito Santo ci aiuti a credere con il cuore, e a confessare con le opere che Gesù è il Cristo, per vivere secondo la sua parola e il suo esempio, certi di salvare la nostra vita solo quando avremo il coraggio di perderla". Questo coraggio di investire per Cristo tutta la nostra vita è richiesto oggi soprattutto davanti alla crisi generale dei valori spirituali e religiosi e dove la vita umana conta ben poco e il rispetto verso di essa è scarsamente garantito in varie culture ed ambienti. Perdere la vita per Cristo è un investimento che ricompensa già su questa terra nell'attesa del premio eterno. Un investimento che passa attraverso la rinuncia, il rinnegamento di se stessi e l'assunzione della croce come vera via di liberazione. |