Omelia (17-09-2006) |
padre Raniero Cantalamessa |
Per te chi sono?, continua a chiedere Gesù a ciascuno Tutti e tre i Sinottici riferiscono l'episodio di Gesù che a Cesarea di Filippo chiede agli apostoli quali sono le opinioni della gente su di lui. Il dato comune a tutti e tre è la risposta di Pietro: "Tu sei il Cristo". Matteo aggiunge: "il Figlio di Dio vivente" (Mt 16, 16) che potrebbe, però, essere una esplicitazione dovuta alla fede della Chiesa dopo la Pasqua. Ben presto il titolo Cristo divenne un secondo nome di Gesù, quasi come noi diciamo Dante Alighieri, o Giovanni Paolo, o Pier Luigi. Lo si incontra oltre 500 volte nel Nuovo Testamento quasi sempre nella forma composta "Gesù Cristo", o "nostro Signore Gesù Cristo". Ma all'inizio non era così. Tra Gesù e Cristo c'era sottinteso un verbo: "Gesù è il Cristo". Dire "Cristo" non era chiamare Gesù per nome, ma fare una affermazione su di lui. Cristo, si sa, è la traduzione greca dell'ebraico Mashiah, Messia, ed entrambi significano "unto". Il termine deriva dal fatto che nell'Antico Testamento re, profeti e sacerdoti, al momento della loro elezione, venivano consacrati mediante una unzione con olio profumato. Sempre più chiaramente però nella Bibbia si parla di un Unto, o Consacrato, speciale che verrà negli ultimi tempi per realizzare le promesse di salvezza di Dio al suo popolo. È il cosiddetto messianismo biblico, che assume diverse colorazioni a seconda che il Messia venga visto come un futuro re (messianismo regale) o come il Figlio dell'uomo di Daniele (messianismo apocalittico). Tutta la tradizione primitiva della Chiesa è unanime nel proclamare che Gesù di Nazareth è il Messia atteso. Lui stesso, secondo Marco, si proclamerà tale davanti al Sinedrio. Alla domanda del Sommo Sacerdote: "Sei tu il Cristo, il Figlio di Dio benedetto?", egli risponde: "Io lo sono" (Mc 14, 61 s.). Tanto più quindi sconcerta il seguito del dialogo di Gesù con i discepoli a Cesarea di Filippo: "E impose loro severamente di non parlare di lui a nessuno". Ma il motivo è chiaro. Gesù accetta di essere identificato con il Messia atteso, ma non con l'idea che il giudaismo aveva finito per farsi del Messia. Nell'opinione dominante, questi era visto come un capo politico e militare che avrebbe liberato Israele dal dominio pagano e instaurato con la forza il regno di Dio sulla terra. Gesù deve correggere profondamente questa idea, condivisa dagli stessi suoi apostoli, prima di permettere che si parlasse di lui come Messia. A questo mira il discorso che segue immediatamente: "E incominciò a insegnar loro che il Figlio dell'uomo doveva molto soffrire...". La dura parola rivolta a Pietro che cerca di distoglierlo da tali pensieri: "Lungi da me, Satana", è identica a quella rivolta al tentatore nel deserto. In entrambi i casi si tratta infatti dello stesso tentativo di distoglierlo dal cammino che il Padre gli ha indicato – quello del Servo di Jahvè sofferente – per un altro che è "secondo gli uomini, non secondo Dio". La salvezza verrà dal sacrificio di sé, dal "dare la vita in riscatto per molti", non dall'eliminazione del nemico. In tal modo da una salvezza temporale si passa a una salvezza eterna, da una salvezza particolare, destinata a un solo popolo, si passa a una salvezza universale. Purtroppo dobbiamo costatare che l'errore di Pietro si è ripetuto nella storia. Anche certi uomini di Chiesa e perfino successori di Pietro si sono comportati, in certe epoche, come se il regno di Dio fosse di questo mondo e dovesse affermarsi con la vittoria (se necessario anche delle armi) sui nemici, anziché con la sofferenza e il martirio. Tutte le parole del vangelo sono attuali, ma il dialogo di Cesarea di Filippo lo è in maniera tutta speciale. La situazione non è mutata. Anche oggi su Gesù ci sono le più diverse opinioni della gente: un profeta, un grande maestro, una grande personalità. È diventata una moda presentare Gesù, negli spettacoli e nei romanzi, nelle fogge e con i messaggi più strani. Il Codice da Vinci è solo l'ultimo episodio di una lunga serie. Nel vangelo Gesù non sembra sorprendersi delle opinioni della gente, né si attarda a smentirle. Solo pone una domanda ai discepoli e così fa anche oggi: "Per voi, anzi per te, chi sono io?". C'è un salto da fare che non viene dalla carne e dal sangue, ma è dono di Dio da accogliere mediante la docilità a una luce interiore da cui nasce la fede. Ogni giorno ci sono uomini e donne che fanno questo salto. A volte si tratta di persone famose - attori, attrici, uomini di cultura - e allora fanno notizia. Ma infinitamente più numerosi sono i credenti sconosciuti. Talora i non credenti scambiano queste conversioni per debolezza, crisi sentimentali, o ricerca di popolarità e può darsi che in qualche cosa ciò sia vero. Ma sarebbe mancanza di rispetto della coscienza altrui gettare il discredito su ogni storia di conversione. Una cosa è certa: quelli che hanno fatto questo salto non tornerebbero indietro per nulla al mondo e anzi si stupiscono di aver potuto vivere tanto tempo senza la luce e la forza che vengono dalla fede in Cristo. Come S. Ilario di Poitiers che si convertì da adulto, essi sono pronti ad esclamare: "Prima di conoscerti, io non esistevo". |