Omelia (24-09-2006) |
padre Antonio Rungi |
Umilta' e accoglienza del discepolo di Cristo La Parola di Dio di questa XXV Domenica del tempo ordinario richiama alla nostra attenzione, soprattutto nel testo del Vangelo odierno, due virtù umane e cristiane: l'umiltà e l'accoglienza verso gli altri. Il tutto inquadrato nel contesto dell'annuncio della sua morte e risurrezione. Chiaro riferimento che non è possibile improntare un vero discorso sull'umiltà se non si ha quale punto di riferimento essenziale il mistero pasquale di Cristo. Il discepolo di Gesù è colui che si pone alla sua sequela e cammina con lui fino ala Calvario. "In quel tempo, Gesù e i discepoli attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. Istruiva infatti i suoi discepoli e diceva loro: "Il Figlio dell'uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma una volta ucciso, dopo tre giorni, risusciterà". Essi però non comprendevano queste parole e avevano timore di chiedergli spiegazioni. Giunsero intanto a Cafàrnao. E quando fu in casa, chiese loro: "Di che cosa stavate discutendo lungo la via?". Ed essi tacevano. Per la via infatti avevano discusso tra loro chi fosse il più grande. Allora, sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: "Se uno vuol essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servo di tutti". E preso un bambino, lo pose in mezzo e abbracciandolo disse loro: "Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome, accoglie me; chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato". Rifuggire i primi posti, quelli di onore e gloria persona e cercare invece gli ultimi, nel silenzio e nel servizio disinteressato agli altri, senza gloria, ma con tanta passione e soprattutto croce. Per realizzare questo progetto di vita personale basato sulla santità è necessario che diventiamo come i bambini, cioè viviamo in semplicità senza aspirare alle cose grandi, ma mettendoci al servizio della Chiesa e dei fratelli con generosità, senza calcolo e tornaconto alcuno, sapendo che ogni vero servizio alla comunità ecclesiale e umana richiede abnegazione, sacrificio e croce. Ritorna nuovamente sulla figura del servo sofferente di Javhé la prima lettura odierna tratta dal Profeta Isaia. Dissero gli empi: "Tendiamo insidie al giusto, perché ci è di imbarazzo ed è contrario alle nostre azioni; ci rimprovera le trasgressioni della legge e ci rinfaccia le mancanze contro l'educazione da noi ricevuta. Vediamo se le sue parole sono vere; proviamo ciò che gli accadrà alla fine. Se il giusto è figlio di Dio, egli l'assisterà, e lo libererà dalle mani dei suoi avversari. Mettiamolo alla prova con insulti e tormenti, per conoscere la mitezza del suo carattere e saggiare la sua rassegnazione. Condanniamolo a una morte infame, perché, secondo le sue parole, il soccorso gli verrà". Parole profetiche davvero in quanto nella loro complessità, drammaticità e verità si sono verificate nella persona del Figlio di Dio, con la sua passione, crocifissione e morte, ma che hanno caratterizzato il percorso umano e missionario del Messia, nel suo itinerario apostolico nei luoghi e con le persone di ogni ceto e condizione sociale che lo hanno incrociato ed interpellato. Egli non si è tirato indietro di fronte alla prova, al dolore, alla sofferenza e alla morte, anche se è stata dura anche per Gesù accettare il calice della passione e della morte in croce, lui agnello innocente immolato per la salvezza del genere umano. Sullo stesso tono è il Salmo responsoriale, che ci richiama ancora una volta la sofferenza causata dagli altri sulle persone innocenti, che si affidano alla protezione di Dio nelle avverse condizioni della propria esistenza, soprattutto quanto i prepotenti vogliono a tutti i costi predominare sugli altri ed imporre le loro idee: "Dio, per il tuo nome, salvami, per la tua potenza rendimi giustizia. Dio, ascolta la mia preghiera, porgi l'orecchio alle parole della mia bocca. Sono insorti contro di me gli arroganti e i prepotenti insidiano la mia vita, davanti a sé non pongono Dio. Ecco, Dio è il mio aiuto, il Signore mi sostiene. Di tutto cuore ti offrirò un sacrificio, Signore, loderò il tuo nome perché è buono". La seconda lettura tratta dalla Lettera di San Giacomo Apostolo scende nella concretezza della vita ed offre validi punti di meditazione come rapportarci gli uni agli altri e come impostare una vita sociale ed ecclesiale all'insegna della carità e del rispetto reciproco e non della rivalità e della concorrenza. Alla base dei comportamenti ribelli ci sono le passioni umane, che non si riescono a dominare né ad indirizzarle per cose utili e positive. Si tratta, perciò, di essere sapienti secondo le linee portanti dell'insegnamento cristiano: "Carissimi, dove c'è gelosia e spirito di contesa, c'è disordine e ogni sorta di cattive azioni. La sapienza che viene dall'alto invece è anzitutto pura; poi pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, senza parzialità, senza ipocrisia. Un frutto di giustizia viene seminato nella pace per coloro che fanno opera di pace. Da che cosa derivano le guerre e le liti che sono in mezzo a voi? Non vengono forse dalle vostre passioni che combattono nelle vostre membra? Bramate e non riuscite a possedere e uccidete, invidiate e non riuscite ad ottenere, combattete e fate guerra! Non avete perché non chiedete; chiedete e non ottenete perché chiedete male, per spendere per i vostri piaceri". L'egoismo, la soddisfazione di tutto ciò che è esigenza materiale sono motivo ricorrente di liti in ogni comunità, da quella familiare, a quella sociale ed ecclesiale. I nostri giorni ci dicono molto al riguarda. C'è, infatti, uno stile di vita che invoglia a concorrere in molte cose, per ambire a posti sempre più prestigiosi, che vanno dai lavoro, allo spettacolo, alla politica, all'economia, alla gestione del potere. Da queste malattie dell'anima non sono esenti neppure i cristiani, a qualsiasi livello e in qualsiasi ambiente e servizio. Un esame di coscienza alla luce di quanto Gesù oggi ci dice nel Vangelo e di quanto l'Apostolo Giacomo ci offre come considerazione ulteriore ed operativa fa bene, per dare una svolta alla nostra vita. Una svolta che parta dalla sincera convinzione che nessuno è migliore e più capace degli altri, ma tutti siamo al servizio. E quando abbiamo fatto tutto, nel modo migliore, dobbiamo avere la convinzione che abbiamo fatto quello che dovevamo fare e alla fine tutti siamo utili e nessuno è indispensabili. Siamo, in altri termini, secondo quanto ci insegna Cristo, servi inutili, che nel servizio prestato a qualsiasi livello e con qualsiasi grado di responsabilità non dobbiamo inorgoglirci, ma essere umili e soprattutto capaci di amare, perdonare, accogliendo nell'amore di Dio ogni fratello e sorella di questa terra. |