Omelia (24-09-2006)
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* "Pensavamo che in casa nostra certe discussioni non sarebbe mai avvenute. Eravamo così felici, uniti e solidali. Insomma invidiati da tutti. Ma poi, il giorno in cui mio padre ha deciso..."
Anche nelle migliori famiglie, la spartizione dell'eredità è spesso causa di litigi, contrasti e fratture insanabili. Ognuno degli eredi, in apparenza disinteressato a tutto e pronto ad accettare qualsiasi volontà, inizia ad avanzare meriti e titoli, al fine di potersi accaparrare la parte migliore dei beni in questione.
Oggi il gruppo dei Dodici litiga al suo interno: cosa è successo? Cosa li trascina a toni così inusuali e accesi? Cosa li divide, loro così apparentemente uniti intorno al Maestro? Cosa può aver scatenato la discussione per stabilire una volta per tutte chi fosse il più grande tra di loro?

* Anche il gruppo degli amici, quelli veri, i più affidabili, sembra essere caduto nella stessa insidia: Gesù annuncia ancora una volta la consegna di sé al dramma della passione; invece che trovare dei sostenitori, pronti almeno a comprendere, se non proprio a condividere, li trascina al sospetto che da lì a poco Gesù sarebbe stato fatto fuori dai suoi accesi contestatori, e che quindi iniziava la "lotta alla successione": chi avrebbe avuto titoli così meritevoli da pretendere di prendere il suo prestigioso posto di guida del gruppo? chi poteva essere ritenuto il più grande tra di loro, in grado di raccogliere l'eredità del Maestro? Se il Signore fosse venuto a mancare, chi avrebbe meritato di prendere il ruolo di guida del gruppo? E a che titolo?
Sembra chiara la volontà decisa a dover provvedere al "dopo": li divide, fino alla lacerazione, la questione di chi poteva emergere tra tutti...
L'evangelista Marco incastona la narrazione tra il racconto della professione di fede di Pietro seguita dall'evento felice della Trasfigurazione, e il viaggio verso Gerusalemme durante il quale il Maestro affida questo annuncio rinnovato della passione e risurrezione, pensando di essere "capito" almeno dai suoi amici più vicini.
Dalle sue parole una cosa è chiara a tutti loro: la "prospettiva" che si balena all'orizzonte, non è un'ipotesi ma una meta inevitabile. Gesù vuole preparare il gruppo dei suoi a quell'"ora" difficile, perché quando arriverà il momento non si disperino e non si disperdano. Ma questa preoccupazione del Maestro non sembra incrociare le occupazioni dei discepoli.
S. Luca (Lc 22,24) pone i versetti più sconvolgenti proprio nel vivo del suo vangelo: nel vivo del racconto dell'Ultima Cena, dopo che Gesù ha annunciato il drammatico tradimento di Giuda che avrebbe segnato la definitiva uscita di scenda del Maestro, si discute per la leadership del gruppo e sorge tra i Dodici la discussione su chi di loro fosse il più grande...
"Allora essi cominciarono a domandarsi a vicenda chi di essi avrebbe fatto ciò" (Lc 22,23). L'evangelista lascia intendere la risposta: tutti! Sembrano tutti pronti a profanare e tradire quel momento di intimità e di comunione. E' in questo contesto, intenzionalmente voluto da Gesù, di svelamento definitivo del volto del Maestro e del suo progetto di Amore, tra i Dodici, tra coloro che avrebbero dovuto conoscerlo meglio, anche in un momento così fa breccia nel loro cuore, drammatica, la discussione del "chi di noi sarà il più grande?".

* Dove e come si colloca nella nostra vita questo annuncio?
Come ci coglie? Dove ci tocca e ci coinvolge? In quale momento della nostra vita ci sorprende?

* "Dove c'è gelosia e spirito di contesa, c'è disordine e ogni sorta di cattive azioni" (II Lettura): sotto la pressione della gelosia diventiamo capaci di dire e di fare qualsiasi cosa!
Se tra di loro, come attesta l'evangelista, i Dodici stavano discutendo animatamente, è perché nessuno, per spirito di gelosia e di contesa, era disposto a cedere!
Ciascuno di loro giustificava la propria pretesa di essere "più grande" rispetto agli altri. Proviamo a pensare con quali parole Pietro avrà fatto le sue avance per convincere gli altri a accettarlo come il primo, ricordando i momenti esaltanti del suo rapporto con Gesù; così Giovanni, il discepolo che Gesù amava, così Andrea, il primo dei chiamati, così Matteo, capace in economia, così Simone lo Zelota, esperto di scienze politiche, così Giuda, abile amministratore (teneva la cassa!), così tutti gli altri... Era una discussione difficile da risolvere; una graduatoria proprio impossibile da approvare!
Chi deve comandare al suo posto?
"Da che cosa derivano le liti le guerre e le liti che sono in mezzo a voi? Non vengono forse dalle vostre passioni che combattono nelle vostre membra?"(II Lettura):
In diverse circostanze, Gesù ha dichiarato che il discepolo è chiamato a condividere le sorti del Maestro. Ma i Dodici devono ancora comprendere il vero senso della sequela; Gesù volutamente incrocia la loro accesa discussione, e con il suo sguardo eloquente li avrà fatti anche vergognare e arrossare per le parole usate e i toni accesi, poi tenta di riscrivere la loro vocazione: "Allora, sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: Se uno vuole essere il primo...". Gesù si pone con l'autorità di Rabbì nell'atteggiamento di insegnare ("sedutosi"), chiama i suoi ancora di nuovo, come la prima volta, per disporli intorno a sé e, invitandoli a diventare suoi veri discepoli, propone loro una nuova sapienza,"la sapienza che viene dall'alto"(II Lettura).
Ponendo un bambino in mezzo a loro, Gesù smonta ogni titolo e ogni pretesa: chi accoglie e serve un bambino, sa di doverlo fare gratuitamente, perché il bambino non è nelle condizione di poter ricambiare.
Ogni discepolo è chiamato a prendere il posto del Maestro, percorrendo insieme con Lui la stessa strada che porta a Gerusalemme, senza scorciatoie, condividendo la logica della passione fino alla Croce, trono regale della Carità senza misura.
La Chiesa non è stata mai esente dalla tentazione di glorie umane; in nome del Maestro, cerchiamo sicurezze, titoli, glorie e riconoscimenti, rischiando di offuscare il volto del Signore crocifisso e risorto.
Oggi più che mai la Chiesa è chiamata a diventare segno profetico di servizio gratuito, sofferto, amorevole, per tutti, per i più deboli soprattutto.
In una cultura pervasa dalla logica della "dirigenza", del guadagno ad ogni costo, del profitto, della commercializzazione devastante, dell'interesse, del calcolo che mortifica le relazioni, anche le più sacre, sottomettendole all'idolo della sopraffazione, ogni discepolo deve seminare un percorso di servizio umile, silenzioso, gratuito. La Chiesa deve riscoprire il linguaggio silenzioso dello sguardo vigile e premuroso, per accogliere, per accorgersi, per rispondere...
Il Signore deve riscrivere anche la nostra vocazione di discepoli: non siamo chiamati ad occupare posti d'onore, ma siamo mandati a servire da ultimi, senza attendere il contraccambio.
Il cristiano sa che la grandezza e la dignità del suo stato di vita si compie esclusivamente nella capacità di amare senza riconoscimenti, senza podi da trionfatori.
Chi deve comandare nella Chiesa?
Provate a rispondere da soli!

Commento a cura di don Gerardo Antonazzo