Omelia (24-09-2006) |
mons. Antonio Riboldi |
Servo di tutti Ci sono atteggiamenti degli uomini, che ricordano l'origine della nostra storia. Dio, il Padre, ci aveva creati solo per la felicità, per essere come Lui e con Lui, amore che si dona ed attende il nostro dono. Non c'era nulla, ma proprio nulla, in Adamo ed Eva, che non fosse dono e, quindi, nulla ma proprio nulla da inorgoglirsi...semmai tutto doveva essere un grazie: un grazie che era ed è l'espressione della nostra umiltà di fronte al Padre che tutto ci ha donato. Sennonché, messi alla prova proprio su questa riconoscenza, il demonio, che nella Bibbia appare come il serpente, il più astuto degli animali, si affaccia a fare le sue proposte. Satana è la superbia personificata: Dio è l'amore che si fa "servizio", sempre. Racconta la Bibbia: "Il serpente era più astuto di tutti gli animali selvatici che Dio aveva creato. Disse alla donna: "Così Dio vi ha detto di non mangiare nessun frutto degli alberi del giardino. Rispose la donna al serpente: No, noi possiamo mangiare i frutti degli alberi del giardino. Soltanto dell'albero che è nel mezzo del giardino Dio ha detto: Non mangiatene il frutto, anzi non toccatelo, altrimenti morirete. "Non è vero che morirete - disse il serpente - anzi Dio sa bene che se ne mangerete, i vostri occhi si apriranno, diventerete come Lui, avrete la conoscenza di tutto. La donna osservò l'albero, i suoi frutti erano certo buoni da mangiare, erano una delizia per gli occhi, era affascinante per avere quella conoscenza. Allora prese un frutto e ne mangiò. Lo diede anche a suo marito ed egli ne mangiò. I loro occhi si aprirono e si accorsero di essere nudi...Dio, il Signore, chiamò l'uomo e disse: Uomo, dove sei?. L'uomo rispose: Ho udito i tuoi passi nel giardino. Ho provato paura perché sono nudo e mi sono nascosto" (Gen 3,1-11). Una disobbedienza che costò la nostra rovina, che è la storia di sempre...anche sotto i nostri occhi. Chi, diciamo la verità, non ha ceduto alla tentazione di "sentirsi alla pari con Dio", e non si è alle volte dato un morso al frutto proibito? Conoscendo così quella nudità che ci allontana da Dio? Gesù, Figlio di Dio, per togliere quella nudità e restituirci così al Padre ed al Paradiso, si vestì della nostra natura umana. "Egli era Dio - afferma S. Paolo - ma non conservò gelosamente il suo essere uguale a Dio. Rinunziò a tutto, diventò come un servo. Fu uomo tra gli uomini e visse conosciuto come uno di loro. Abbassò se stesso, fu obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Perciò il Padre lo ha innalzato sopra tutte le cose e gli ha dato il nome più grande" (Fil 2,6-10). Nessun uomo sulla terra conobbe la grandezza di Gesù, così come nessuno conobbe la immensità del suo amore che volle vestirsi dei nostri "stracci" per rivestirci degli abiti dei santi. Visse tra noi come il più semplice e povero, senza mai avanzare i titoli di superbia. Conobbe così l'umiliazione fino all'estremo, morendo come il più abbietto tra noi, sulla croce. Tutto questo per cancellare la nostra voglia di superbia. E quando ai Suoi illustrava la sua missione di amore, non veniva capito. Come nel Vangelo di oggi. "In quel tempo Gesù e i discepoli attraversavano la Galilea, ma Egli non voleva che alcuno lo sapesse. Istruiva infatti i suoi discepoli e diceva loro: "Il Figlio dell'uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno: ma una volta ucciso, dopo tre giorni, risusciterà". Essi però non comprendevano queste parole e avevano timore di chiedergli spiegazione. Giunsero intanto a Cafarnao. E quando fu in casa, chiese loro: "Di che cosa stavate discutendo lungo la via?" Ed essi tacevano. Per la via infatti avevano discusso tra loro chi fosse il più grande. Allora, sedutosi, chiamò i dodici e disse loro: "Se uno vuol essere il primo sia l'ultimo di tutti, e il servo di tutti". E preso un bambino lo pose in mezzo e abbracciandolo disse loro: "Chi accoglie uno di questi bambini nel nome mio, accoglie me: chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato" (Mt 9,29-36). Impressiona lo stridore che si legge nel Vangelo tra quello che confida Gesù, circa la sua passione e resurrezione, e quello che invece è l'oggetto delle discussioni tra gli Apostoli. Gesù confida come l'amore ha la sua luce nell'annientarsi sulla croce: gli apostoli facevano progetti "umani", che sono in netto contrasto con l'amore che si fa dono, passando per l'umiliazione. Forse i Dodici vedevano in Gesù la via per farsi strada tra di noi, ossia chi sarebbe diventato il primo. Sarà lo Spirito, nella Pentecoste, a illuminarli e renderli "servi" dei fratelli, fino a dare la vita. Se c'è una cosa che tante volte ci fa assomigliare agli Apostoli, nella vita, è quella voglia di essere "primi nella società". Cosa non si fa per scavalcare i fratelli! Percorrendo vie che sono una grave offesa alla giustizia. Basta guardare a quella scandalosa corsa verso la cosiddetta "carriera". Il mio fondatore, Rosmini, vedeva nella voglia di carriera un motivo di scandalo, tale che non esitava a ritenere indegni di appartenere alla congregazione quanti brigavano per farsi strada, ossia fare carriera. E' vero, che ognuno di noi ha il dovere di conoscere e coltivare tutti quei doni o carismi che Dio ci ha dato... ma per essere servizio ai fratelli, non per coltivare la superbia. Sentivo una volta una mamma che educava i figli a "essere i primi in tutto" perché "se non sei primo, sei nulla" diceva. Non importa se per raggiungere questo traguardo, come quello della ricchezza, devi calpestare gli altri. Devi diventare da grande una "persona importante", ossia che abbia lo splendore della superbia. Così una persona non conta più per quello che veramente è agli occhi del Padre, ma per quello che è agli occhi del mondo...Non importa se questa cosiddetta gloria può essere spazzata via da un nulla. Perché l'opinione pubblica come è pronta a innalzare altari, al minimo sbaglio è pronta a calpestarti nella polvere. Quando un vescovo viene eletto PApa, gli si ricorda nella incoronazione che "è polvere"... "così passa la gloria del mondo!" Così bolla la superbia l' Apostolo Giacomo: "Carissimi, dove c'è gelosia e spirito di contesa, c'è disordine e ogni sorta di cattive azioni. La sapienza che invece viene dall'alto è innanzitutto pura; poi pacifica, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, senza parzialità, senza ipocrisia. Un frutto di giustizia viene seminato nella pace per coloro che fanno opera di pace. Da che cosa derivano le guerre e le liti che sono in mezzo a voi? Non vengono forse dalle vostre passioni che combattono nelle vostre membra? Bramate e non riuscite a possedere e uccidete: invidiate e non riuscite a ottenere: combattete e fate guerra! Non avete perché non chiedete e non ottenete perché chiedete male, per spendere per i vostri piaceri" (Gc 3, 16). Quello che colpisce e fa tanto bene è incontrare gente umile; senza alcuna ambizione se non quella di essere utili ai fratelli. Ti passano vicino, sembrano "ombre", talmente si fanno da parte, ed invece emanano una luce che è quella che tutti vorremmo godere. Ho avuto la fortuna di conoscere e stare vicino a tanti di questi autentici santi, che sembra non abbiano peso, ed invece ti accorgi che sono loro il grande tesoro tra di noi. Sono uomini, donne che vivono nella semplicità...gente che non si è lasciata ingannare dal serpente, il più astuto degli animali. Chi di noi possiede questa grande virtù, davvero è un bene prezioso, che forse non si accorge di avere, ma che è. Gente che sembra che cammini in punta di piedi per non dare fastidio e non fare ombra. Davvero sono "i Primi", ma i "servi di tutti". Così sognava la Chiesa il grande mio amico Tonino Bello, vescovo: "Noi non dobbiamo chiudere gli occhi finché il mondo non dorma sonni tranquilli: noi dobbiamo essere i servi del mondo: non dobbiamo avere paura di piegarci per lavare i piedi del mondo. Non è una Chiesa che si mimetizza; non è una Chiesa populista; non è una Chiesa ridotta a rango di ancella; non è una Chiesa schiava. La Chiesa deve giocare come serva, non come riserva del mondo; non vuole mai fare il braccio di ferro con il mondo... La Chiesa deve giocare come serva del mondo perché se mena vanto della propria bravura, tristi tempi verranno". Non ci resta allora che diventare "bambini", come è nel Vangelo di oggi, e farsi prendere in braccio da Dio, perché il bambino è esattamente il contrario della superbia ed è il volto meraviglioso dell'umiltà. Ma saremo capaci di andare contro corrente oggi in cui sembra prevalere il peccato di Eva e si ha come la sensazione che, diversamente, agli occhi della gente, si è nulla? Ma con gli occhi della fede, nella umiltà, abbiamo la certezza che di quel "nulla" ha preso possesso Dio. |