Omelia (01-10-2006) |
mons. Ilvo Corniglia |
In questa parte del Vangelo di Marco Gesù è tutto intento a formare la comunità dei suoi discepoli. Anzitutto vuole educarli alla vera umiltà, che si fa servizio all'ultimo posto e accoglienza concreta del bambino e di quanti il bambino rappresenta: poveri, indifesi, bisognosi, fragili nella fede (cfr. Vangelo della scorsa domenica). Nel brano di oggi Gesù mette a fuoco altri aspetti qualificanti nella figura del discepolo e nello stile di vita della comunità cristiana. I discepoli appartengono a Gesù e Gesù a loro. E' questo un dono superlativo. Ma essi non possono rivendicare nessun monopolio su di Lui. Hanno incontrato un "esorcista" che "scacciava i demoni nel nome" di Gesù. Di solito gli esorcisti ebrei si servivano del nome di Dio, ma talvolta potevano anche pronunciare il nome di qualche esorcista famoso. "Glielo abbiamo vietato, perché non era dei nostri". Giovanni riferisce a Gesù questo episodio nell'ingenua convinzione d'aver agito bene. In realtà tale gesto rivela un modo non evangelico di considerare il proprio gruppo: la presunzione che il loro gruppo, essendo legato a Gesù, abbia una relazione esclusiva con Lui a tal punto che il suo potere deve passare soltanto attraverso di essi, che hanno il diritto di disporne. E' la ricerca dell'autoaffermazione del gruppo, il desiderio che emerga, si espanda, abbia successo. Perciò in un certo senso si prova disagio e ci si indispettisce se singole persone o gruppi diversi dal nostro si distinguono nel fare il bene. Ciò che importa è il proprio "recinto", il proprio "orticello" e ciò che vi cresce. Gli altri sono visti, in spirito di "competizione", come "concorrenti". Comunque si tende a sopravvalutare l'esperienza che si fa nel cammino del proprio gruppo come se fosse la migliore e forse anche l'unica valida, ritenendo che le varie iniziative valgono se portano il nostro timbro e la nostra etichetta. Questo atteggiamento piuttosto gretto e ..settario può ritrovarsi- con una grande varietà di forme sia pure non sempre evidenti e plateali - anche all'interno della Chiesa nel rapporto fra le diverse realtà aggregative (associazioni, movimenti, gruppi, parrocchie...). "Non glielo proibite". Gesù invita a essere "tolleranti", ad avere un cuore largo. Il motivo? Chi fa un miracolo riferendosi a Lui non può essergli nemico. "Chi non è contro di noi, è per noi". Chi non ci combatte espressamente, in definitiva, opera per la nostra stessa causa. In fondo quell'esorcista sta liberando delle persone dal potere del Maligno: Gesù non può non esserne contento. Infatti sa che dove si compie il bene, lì arriva il suo influsso, lì opera lo Spirito di Dio, che è il suo Spirito. Queste parole di Gesù richiamano la risposta di Mosè allo zelo intemperante di Giosuè (Nm 11, 25-29: I lettura).. Così Gesù vuole educarci a riconoscere e apprezzare il bene dovunque e da chiunque sia compiuto, anche se chi lo fa non condivide il nostro cammino di fede e non ha le nostre medesime convinzioni. Anzi ci invita a collaborare perché il bene cresca a vantaggio della società. Ci esorta ad abbattere gli steccati, a superare ogni grettezza, ad aprire il cuore ad ogni uomo che - anche senza appartenere alla comunità cristiana - può ugualmente compiere azioni buone. Non sono soltanto i cristiani quelli che fanno il bene. Anche chi non lo è può farlo. Infatti, se "tutto ciò che è vero, da chiunque venga detto, proviene dallo Spirito Santo" (san Tommaso), anche tutto ciò che è buono, da chiunque venga compiuto, è frutto dello Spirito di Gesù. Se il legame dei discepoli con Gesù è vero, essi come Lui sanno gioire di ogni iniziativa buona, pur non proveniente da loro, e la promuovono. Quest'apertura di orizzonti e capacità di dialogo si coniuga con l'attenzione a salvaguardare l'identità della comunità dei discepoli. Gesù anzitutto riafferma l'incomparabile dignità di chi gli appartiene ("siete di Cristo"), per cui ogni sostegno e ogni servizio, anche minimo ("un bicchiere d'acqua") offerto ai discepoli verrà ricompensato da Dio. Dato infatti il loro legame con Gesù, quanto è fatto a loro è fatto a Lui. I discepoli sono tutti i "cristiani", ma in modo più specifico coloro che dedicano la vita intera al servizio del Vangelo (i Dodici e i loro successori). Si pensi es. alle varie forme di aiuto ai missionari, come pure all'impegno per il sostentamento del Clero. A questo punto Gesù parla di un altro connotato che caratterizza i membri della sua famiglia: la responsabilità, che tutti hanno, di curare la salute spirituale della comunità, cioè l'integrità della fede e della vita morale. Un pericolo mortale contro cui occorre mobilitarsi e vigilare insonnemente è lo "scandalo". "Scandalizzare" significa propriamente "far inciampare e cadere". Cioè - con le parole, azioni, esempi, omissioni- provocare la perdita della fede o impedirne la crescita, bloccare o rallentare il cammino degli altri verso Dio. Crimine inqualificabile è "scandalizzare uno di questi piccoli". I "piccoli" sono non solo i bambini anagraficamente, ma i poveri, i deboli sotto ogni profilo, soprattutto fragili nella fede. Questa è il bene più grande e Gesù vuole difenderla a ogni costo nei discepoli, specie nei più esposti al rischio di perderla. Perciò chi attenta alla fede di uno solo dei piccoli merita la punizione più grave: la morte per annegamento, senza una sepoltura decorosa. Occorre una vigilanza estrema perché io non sia occasione di calo nella fede e di conseguenza nella vita morale e spirituale per qualcuno nella comunità. Che dire, poi, degli "scandali" molteplici a livello pubblico e anche planetario, ingigantiti dai mezzi di comunicazione sociale? Si pensi es. alle tante forme di violenza e alla distribuzione ingiusta delle ricchezze, con la massa dei poveri relegati sotto il livello di sopravvivenza (cfr. l'invettiva di Giacomo contro i ricchi: 5,1-6. II lettura). C'è un'altra forma di "scandalo", non meno grave, che riguarda se stesso: è il procurare il proprio danno spirituale. Ogni uomo, e in specie ogni credente, deve curare la propria salute spirituale, deve custodire e accrescere la sua fede come il tesoro più grande che merita di essere difeso a qualunque prezzo. Gesù usa un linguaggio figurato, ma singolarmente duro: "se la tua mano...se il tuo piede...se il tuo occhio ti scandalizza". Questi organi fondamentali del corpo indicano l'uomo con le sue qualità e attività, ma anche impulsi istintivi. Il cristiano dev'essere pronto a praticare una "chirurgia" spirituale, a "tagliare" impietosamente e con coraggio tutto quello che gli impedisce di vivere una comunione vera con Dio e con i fratelli. Il "tagliare" costa, ma è preferibile entrare "nella vita...nel Regno di Dio" "mutilati" di qualche organo che finire interamente nella "Geenna". Questa era una valle a Sud Ovest di Gerusalemme dove bruciavano incessantemente i rifiuti: simbolo del fuoco dell'inferno e della perdizione eterna. E' questa una visione nemica della vita? E' rifiuto, disprezzo cinico del corpo? E' invece amore genuino della vita, quella vera, eterna. E' autentico rispetto e amore per la persona. Con lucido realismo Gesù mette in guardia da ciò che può rovinare irreparabilmente tale vita. In che misura manifestiamo quella chiusura ed egoismo di gruppo che Gesù vuole correggere nei discepoli? Le mie parole, il mio comportamento e una vita piuttosto tiepida frenano e rallentano il cammino di fede e di carità dei miei fratelli? Quando scopro in me una tendenza, un desiderio, un'abitudine, un'occasione che mi fa "inciampare" e rovina la mia vita spirituale, pregherò subito il Signore che mi dia il coraggio di "tagliare"prontamente "per meglio amare". |