Omelia (23-11-2003) |
padre Lino Pedron |
Commento su Giovanni 18, 33-37 Gesù usa tre volte l'espressione "il mio regno" nel v.36 per farci comprendere la natura del suo regno: esso non ha origine da questo mondo, ma da Dio. La sua regalità non ha nulla da condividere con quella del mondo, anche se si estende ad esso. Non è politica perché egli non si serve della potenza e non fa uso della forza di un esercito per difenderla. Non è di origine terrena perché egli non è di questo mondo, ma è venuto in esso per salvarlo e riportarlo al Padre. La sua regalità ha la sua origine dall'alto, è divina e universale. Non è opera umana ma è dono di Dio che si manifesta nell'amore fatto servizio alla verità e alla vita. Sì, Gesù è re, ma egli presenta la sua regalità collegata alla verità. Egli è il testimone di un Dio-Amore; il rivelatore della verità che conduce al Padre; la manifestazione della presenza di Dio che salva attraverso la sua parola e la sua opera. La verità di cui parla è la manifestazione di se stesso agli uomini e la salvezza che dona a loro per mezzo della conoscenza che essi hanno di lui. Egli è re di "chiunque è dalla verità", ossia di ogni uomo che ascolta la sua parola, la interiorizza e la vive. Pilato non ha compreso nulla né della regalità, né della verità, né tantomeno di avere davanti a sé colui che è la Verità. La regalità di Gesù, così fortemente legata alla croce, è esattamente il contrario del trionfalismo e dell'oppressione dei re di questo mondo. Il Cristo regna dalla croce morendo per salvare l'umanità. La sua regalità è tutta misericordia, solidarietà con i peccatori e perdono. |