Omelia (30-09-2004) |
Casa di Preghiera San Biagio FMA |
Dalla Parola del giorno Io lo so che il mio Redentore è vivo e che, ultimo, si ergerà sulla polvere! Dopo che questa mia pelle sarà distrutta, senza la mia carne, vedrò Dio. Io lo vedrò, io stesso, e i miei occhi lo contempleranno non da straniero. Come vivere questa Parola? Annaspando nelle acque limacciose dell'angoscia, alle prese con l'oscuro enigma del dolore, Giobbe conduce una lotta estenuante con Dio e con se stesso. In questo tormentato percorso interiore, fluttua tra l'accusare Dio e il confidare in Lui al di là dell'evidenza amara, fino ad esternare un'autentica professione di fede: "Il mio Redentore (GŌ'ĒL) è vivo. Io lo vedrò. Questa speranza è riposta nel mio seno". Da quest'uomo tribolato, Dio riceve l'attributo di GŌ'ĒL, che in questo contesto assume un rilievo teologico particolare: JHWH non è il Dio lontano che rimane insensibile dinanzi al dolore dell'uomo. Al contrario, come allude il termine, è il 'parente stretto', l'unico che possa veramente riscattare dalla miseria e dalla schiavitù. Una lettura illuminata dal mistero pasquale ci lascia ben vedere come questo sia l'attributo stesso di Gesù, che ha preso su di sé l'onere del nostro riscatto per spezzare le catene della finitudine che rigurgita in noi di peccato e di morte. Custodire nel cuore questa consapevolezza significa riconoscere che "come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova" (Rm 6,4). Ecco il punto: già ora, nel tempo, ci è data l'opportunità di camminare in novità di vita, liberi di amare Dio e gli altri con cuore puro. Ad una condizione però: che ogni giorno rinnoviamo con audacia la nostra fede-fiducia nel Redentore. Soprattutto quando ci troviamo di fronte al mistero della prova e del dolore. Sì, perché è proprio nel dolore che Dio è più che mai attivo e presente, anche se il nostro sguardo corto è incapace di scorgere la Sua presenza, ossia quell'agire provvidenziale che "scrive dritto sulle righe storte" degli uomini. Vana infatti sarebbe la nostra fede ci lasciassimo abbacinare dall'idea di un Dio impassibile o addirittura giustiziere e vendicativo che, per salvarci, esige la caparra del dolore innocente o il compenso della sofferenza per il peccato commesso. Oggi, nella mia pausa contemplativa, loderò "il Signore amante della vita" (Sap 11,26) e lascerò che il mistero del dolore, il mio e quello dei miei fratelli, s'infranga fiducioso su Cristo-roccia, fugando dubbi e angosce. Ripeterò al cuore le parole del Salmo: Egli perdona tutte le colpe, guarisce tutte le tue malattie. Non ci tratta secondo i nostri peccati, non ci ripaga secondo le nostre colpe.(103,3.10). La voce di un maestro di spiritualità del nostro tempo L'atteggiamento a cui tendere nella prova è la sottomissione, l'accogliere e non il domandare. Solo la sottomissione è capace di gettare una scintilla di luce sull'esperienza drammatica dell'esistenza. Card. Carlo Maria Martini |