Omelia (01-10-2006) |
Suor Giuseppina Pisano o.p. |
Gesù è in cammino, verso Gerusalemme assieme ai suoi, e, in questa lunga marcia, continua ad insegnare ai discepoli, cosa sia la sequela, e cosa comporti l'appartenenza Lui, il Figlio di Dio Redentore, venuto a portare la pienezza della vita e della verità; pienezza che coincide con l'Amore, una realtà semplicissima, ma che esige un lungo percorso e tanta fatica per esser compresa e per diventare anima dell'intera esistenza. Gesù, dunque, coglie ogni occasione per istruire i discepoli; questa volta, il discorso è rivolto a Giovanni, che, come spesso capita, era convinto che la sequela del Cristo fosse un' esclusiva del ristretto gruppo dei discepoli. «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava i demoni nel tuo nome e glielo abbiamo vietato, perché non era dei nostri», ma queste parole, non trovano il consenso del Maestro. Già, quel Maestro, sembra esser diventato monopolio di pochi intimi, e non un dono per tutti gli uomini, nessuno escluso. Giovanni, nella sua mentalità ancora gretta, pensiamo al desiderio dei primi posti, viveva la sequela come un' esperienza riservata solo ai dodici, "non era dei nostri", quasi che quella piccola comunità, che si era radunata attorno a Gesù, fosse un clan, e non il germe dell'intera Chiesa. Non c'è di che meravigliarsi, se, questa mentalità che oggi definiremmo 'integralista', albergasse tra i discepoli; in realtà, essa esisteva già in precedenza, e continua a sussistere oggi, anche in comunità o movimenti, che si dicono, ed intendono esser cristiani. E' la mentalità di chi, chiudendosi all'interno di una ristretta cerchia di persone, esclude gli altri, che esprimono in maniera diversa, le medesime aspirazioni e la medesima fede. Un male antico, questo di monopolizzare anche i beni più grandi, come quelli dello spirito, di monopolizzare lo stesso Spirito di Dio. La liturgia di questa domenica, ci fa leggere un passo del Libro dei Numeri, in cui si dice che: "il Signore scese nella nube e parlò a Mosè; prese lo spirito che era su di lui e lo infuse sui settanta anziani: quando lo spirito si fu posato su di essi, quelli profetizzarono, ma non lo fecero più in seguito. Intanto, due uomini, uno chiamato Eldad e l'altro Mèdad, erano rimasti nell'accampamento e lo spirito si posò su di loro, che erano fra gli iscritti, ma non erano usciti per, andare alla tenda; si misero a profetizzare nell'accampamento. Un giovane, corse a riferire la cosa a Mosè e disse: «Eldad e Mèdad profetizzano nell'accampamento». Allora Giosuè, figlio di Nun, che dalla sua giovinezza era al servizio di Mosè, disse: «Mosè, signore mio, impediscili!». Ma, Mosè gli rispose: «Sei tu geloso per me? Fossero tutti profeti nel popolo del Signore e volesse il Signore, dare loro il suo spirito!». (Nm 11,25 29 ) La gelosia, il desiderio dell'esclusiva, cercano di intaccare anche il dono di Dio, che viene offerto a quanti Egli voglia, a chiunque, con cuore puro, lo accolga e lo ridoni agli altri. Capitava nell'antico Israele, capitava ai discepoli, che poco avevano compreso del loro Maestro, capita ancora a noi. "Cristo Gesù, scrive Paolo, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio..." ( Fil.2,6), Egli si fece dono a tutti gli uomini, non ad un piccolo gruppo, né ad un solo popolo, ma a tutti indistintamente, ai vicini e ai lontani, perché ogni uomo, in ogni tempo e a qualunque cultura esso appartenga, porta in sé l'immagine del Padre; il dono di Dio, poi, è un dono gratuito, che deve esser ridonato, e non tenuto, gelosamente, per sé o per pochi. Rispondendo a Giovanni, Gesù è categorico: «Non glielo proibite, perché non c'è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito dopo possa parlare male di me. Chi non è contro di noi, è per noi.»; dove il " noi " sta ad indicare una comunità che si allarga all'infinito, fino a dove spazia l'amore, perché, è nell' amore dato, nell'amore operoso, che si crea l'appartenenza a Cristo. Il Maestro lo spiega con queste parole. «Chiunque vi darà da bere un bicchiere d'acqua nel mio nome, perché siete di Cristo, vi dico, in verità, non perderà la sua ricompensa». Il discorso è più esplicito nel Vangelo di Matteo, là, dove si parla del ritorno del Figlio dell' Uomo, il quale giudicherà tutte le genti, e il suo giudizio, il giudizio finale, sarà, appunto, sull'amore: " Venite, benedetti dal Padre mio, poiché ebbi fame e mi deste da mangiare, ebbi sete e mi deste da bere, ero pellegrino e forestiero e mi ospitaste, nudo e mi copriste, infermo e mi visitaste, carcerato e veniste a trovarmi..." e, alla domanda:" Ma quando, Signore ti abbiamo visto, affamato, assetato, nudo, forestiero, malato?", il Re risponderà: " Ogni volta che avete fatto questo ad uno dei più piccoli, l'avete fatto a me." (Mt.25,34-40); Per gli altri, che pure dichiareranno di aver conosciuto il Cristo e di aver mangiato con lui, ma non si saranno presi cura dei piccoli, il giudizio sarà di condanna, quella stessa condanna, dura, forte, inappellabile, che leggiamo oggi, nel Vangelo di Marco:" Chi scandalizza uno di questi piccoli che credono, è meglio per lui che gli si metta una macina, girata da asino, al collo e venga gettato in mare "; chi non vede le difficoltà dei deboli, e non li aiuta nel cammino della vita, non merita di esser detto cristiano. I 'piccoli', di cui il passo del Vangelo parla, non sono tanto, o soltanto i bambini, ma, piuttosto, secondo il linguaggio neotestamentario, tutti coloro che muovono i primi passi nella fede, e quanti, per ragioni diverse, fanno difficoltà a credere, o, per farlo, si appoggiano ad altri, alla loro testimonianza e alla loro autorevolezza morale. Questi " piccoli", sono affidati ai fratelli nella fede, i quali devono avere per loro una particolare attenzione, devono facilitarli nel cammino spirituale e, mai, devono porre ostacoli, con un comportamento che disorienti. A quanti, incuranti del dovere della testimonianza, tengono un comportamento " scandaloso", un comportamento che contrasta con la fede professata, e forse, non sono pochi, Gesù dice che, è meglio " si mettano una macina al collo, e vengano gettati nel mare." Un giudizio duro, che sta ad indicare quale valore abbia la fede in Cristo, una fede che non è semplice adesione della mente, ma impegno totale, che coinvolge ed anima tutta l'esistenza, una fede che si fa testimonianza chiara e credibile, e diventa sostegno di chi è vacillante, ed ha bisogno di aiuto. Se si trascura questo aspetto della vita cristiana, si è poco più che spazzatura, da buttare in un inceneritore; la Geenna, di cui Cristo parla nel passo del Vangelo di oggi, era, appunto, il luogo dove si bruciavano i rifiuti della città. E' questo il senso di quelle parole durissime: "Se la tua mano ti scandalizza, tagliala: è meglio per te entrare nella vita monco, che con due mani andare nella Geènna, nel fuoco inestinguibile. Se il tuo piede ti scandalizza, taglialo: è meglio per te entrare nella vita, zoppo, che essere gettato con due piedi nella Geènna. Se il tuo occhio ti scandalizza, cavalo: è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, che essere gettato con due occhi nella Geènna, dove .. il fuoco non si estingue». Si, chi non è capace di aprirsi al dono dello Spirito, chi non accoglie il dono di Dio, che è Amore e non ne sa vivere tutte le esigenze, ad imitazione del Signore Gesù, si condanna da sé a quella solitudine tremenda che è la lontananza da Dio, e che è simboleggiata nel fuoco distruttore della Geenna, o, in quel che comunemente diciamo "inferno"; l'inferno che è, appunto, mancanza dell'Amore, perché non accolto, non ricambiato e non ridonato agli altri. Sr M Giuseppina Pisano o.p. Monastero ss.mo Rosario mrita.pisano@virgilio.it |