Omelia (01-10-2006) |
padre Raniero Cantalamessa |
Cosa c’è di più liberante della volontà di Dio 'che tutti gli uomini siano salvi'? Uno degli apostoli, Giovanni, ha visto scacciare i demoni nel nome di Gesù uno che non era della cerchia dei discepoli, e glielo ha proibito. Nel riferire l'incidente al Maestro si sente rispondere da lui: "Non glielo proibite...Chi non è contro di noi, è per noi". Si tratta di un tema di grande attualità. Che pensare di quelli di fuori, che fanno qualcosa di buono e presentano delle manifestazioni dello Spirito, senza tuttavia credere in Cristo e aderire alla Chiesa? Possono anch'essi essere salvi? La teologia ha sempre ammesso la possibilità, per Dio, di salvare alcune persone al di fuori delle vie ordinarie che sono la fede in Cristo, il battesimo e l'appartenenza alla Chiesa. Questa certezza si è affermata però in epoca moderna, dopo che le scoperte geografiche e le accresciute possibilità di comunicazione tra i popoli hanno costretto a prendere atto che c'erano infinite persone che, senza alcuna loro colpa, non avevano mai udito l'annuncio del Vangelo, o lo avevano udito in modo improprio, da conquistatori o colonizzatori senza scrupoli che rendevano assai difficile accettarlo. Il Concilio Vaticano II ha detto che "lo Spirito Santo, in un modo noto solo a Dio, offre a ogni uomo la possibilità di venire in contatto con il mistero pasquale di Cristo" e quindi di essere salvato. È cambiata dunque la nostra fede cristiana? No, purché continuiamo a credere due cose: primo, che Gesù è, oggettivamente e di fatto, il Mediatore e il Salvatore unico di tutto il genere umano, e che anche chi non lo conosce, se si salva, si salva grazie a lui e alla sua morte redentrice. Secondo, che anche costoro, pur non appartenendo alla Chiesa visibile, sono oggettivamente "orientati" verso di essa, fanno parte di quella Chiesa più ampia, conosciuta solo da Dio. Due cose, nel nostro brano evangelico, Gesù sembra esigere da queste persone "di fuori": che non siano "contro" di lui, cioè che non combattano positivamente la fede e i suoi valori, che non si mettano, cioè, volontariamente contro Dio. Secondo, che, se non sono in grado di servire e amare Dio, servano e amino almeno la sua immagine che è l'uomo, specie il povero. Dice infatti, nel seguito del nostro brano, parlando ancora di quelli di fuori: "Chiunque vi darà un bicchiere d'acqua nel mio nome perché siete di Cristo, vi dico che non perderà la sua ricompensa". Ma, chiarita la dottrina, io credo che ci sia da rettificare anche qualcos'altro e cioè l'atteggiamento interiore, la psicologia di noi credenti. Si può capire, ma non condividere il mal celato disappunto di certi credenti nel vedere cadere ogni privilegio esclusivo legato alla propria fede in Cristo e appartenenza alla Chiesa: "Allora a che serve fare i bravi cristiani...?" Dovremmo al contrario rallegrarci immensamente di fronte a queste nuove aperture della teologia cattolica. Sapere che i nostri fratelli di fuori, hanno anch'essi la possibilità di salvarsi: cosa c'è di più liberante e cosa conferma meglio la infinita generosità di Dio e la sua volontà "che tutti gli uomini siano salvi" (1 Tim 2,4)? Dovremmo fare nostro il desiderio di Mosè riportato nella prima lettura di questa domenica: "Volesse Dio dare a tutti il suo Spirito!". Dobbiamo, con questo, lasciare ognuno tranquillo nella sua convinzione e smettere di promuovere la fede in Cristo, dal momento che ci si può salvare anche in altri modi? Non di certo. Solo dovremmo far leva più sul motivo positivo che su quello negativo. Quello negativo è: "Credete in Gesù, perché chi non crede in lui sarà condannato in eterno"; il motivo positivo è: "Credete in Gesù, perché è meraviglioso credere in lui, conoscerlo, averlo accanto come Salvatore, nella vita e nella morte". |