Omelia (01-12-2003)
padre Lino Pedron
Commento su Matteo 8, 5-11

Il centurione era il comandante di una centuria, di un gruppo di cento soldati. Egli non chiede nulla per sé, ma prega Gesù per il suo servo gravemente ammalato. Gesù manifesta tutta la sua disponibilità: "Io verrò e lo curerò" (v.7). Ma il centurione dichiara di non essere degno di ricevere Gesù in casa propria ed è convinto che non occorre che il Signore vada da lui perché lo ritiene capace di comandare anche a distanza sulle potenze del male.

Il centurione è un pagano che crede senza esitazione nel potere della parola di Dio. E la fede nella parola di Dio permette al Signore di agire in noi.

Il miracolo è un segno dell'amore di Dio che interviene a nostro favore, perché è infinitamente sensibile al nostro male. Egli vuole donarci tutto e soprattutto se stesso. Aspetta solo che glielo chiediamo con fede.

La grande fede del centurione rende manifesta la mancanza di fede in Israele. La semplice appartenenza anagrafica al popolo di Dio non dà a nessuno la certezza di essere salvato: a tutti è richiesta la fede che si manifesta nelle opere.

L'incontro con il centurione offre a Gesù l'occasione per annunciare l'entrata di tutti i popoli nel regno di Dio. I pagani prenderanno posto alla tavola dei patriarchi nel regno dei cieli.

La Chiesa è costituita da coloro che credono nella parola di Dio e la mettono in pratica. Nel regno di Dio entreranno solo i figli, ossia quelli che sono stati rigenerati "dalla parola di Dio viva ed eterna" (1Pt 1,23), dalla parola del vangelo. Il futuro eterno lo si prepara giorno per giorno accogliendo o rifiutando la parola di Gesù. La nostra libertà si esprime pienamente nella fede o nella mancanza di fede, nel nostro acconsentire alla comunione con Dio o nel rifiutarla.

In questo brano compare all'orizzonte il pellegrinaggio di tutti i popoli che affluiranno alla casa del Signore, e l'annuncio finale del vangelo di Matteo: "Andate e ammaestrate tutte le nazioni" (28,19).