Omelia (15-10-2006)
Suor Giuseppina Pisano o.p.


Bellissimo, questo passo di Marco, che inizia, ricordando che Gesù, "usciva per mettersi in viaggio", è il lungo cammino verso Gerusalemme, là dove si compirà il Mistero, la sua donazione totale, il suo gesto estremo d'amore, nell'ultima cena di Pasqua e nella successiva passione e morte.
Mentre il Maestro si avvia, assieme ai suoi, ecco gli si prostra innanzi un giovane, per sapere da lui cosa occorra per la salvezza.
E' uno di quegli incontri, con persone anonime, nelle quali ognuno può identificarsi, uomo o donna che sia, perché tutti, indistintamente, ci interroghiamo verso quale meta vada la nostra vita, e il futuro, oltre il tempo, in qualche modo, ci inquieta.

Il passo del vangelo di oggi, viene spesso interpretato, in maniera riduttiva, come riferito alla vocazione specifica alla vita consacrata, nelle forme istituzionali che, ben conosciamo; in realtà la chiamata alla salvezza, come la chiamata alla sequela, è per tutti, è una chiamata universale, non legata a confini di spazio, di tempo o di cultura.
Paolo, nella lettera agli Efesini, con un sublime cantico di benedizione al Padre, ci dice che Egli stesso "..ci ha benedetti, con ogni benedizione spirituale in Cristo, nel quale ci ha scelti, prima della creazione del mondo, per trovarci santi e perfetti nell'amore. Ci ha predestinati ad essere suoi figli adottivi, per opera di Gesù Cristo...." (Ef.1,3 ss.)

Da sempre, dunque, siamo chiamati alla vita eterna, e da sempre, siamo chiamati alla sequela, anche se in modi e forme diverse.
Al giovane, prostrato ai suoi piedi, Gesù ricorda i comandamenti, quei paletti che il Padre ha posto per indicare il retto cammino che conduce a lui.
In questo contesto, Marco, nella risposta che Gesù dà al giovane, mette in bocca al Maestro solo alcuni dei dieci comandamenti, quelli significativi nella dimensione sociale, e che riguardano l'amore del prossimo, banco di prova dell'amore di Dio: " conosci i comandamenti: Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non dire falsa testimonianza, non frodare, onora il padre e la madre...".
Il giovane è sicuro di averli osservati, allora Gesù gli propone di andare oltre, e render più radicale e profondo l'amore per Dio, mettendo, questo amore, al primo posto tra i valori della vita, e gli suggerisce: «.. va', vendi quello che hai e dallo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi».

L'esigenza fondamentale della sequela è il primato di Dio, il resto è un di più, si può possedere o non possedere, ma è necessario che il cuore, non sia totalmente legato, assorbito nelle ricchezze, nei beni temporali, ma desideri profondamente, quel "tesoro che è nei cieli"; il cuore dell'uomo, come Agostino insegna, è fatto per Dio, e a Lui deve aspirare, pur attendendo alle realtà temporali.
"Non potete servire a Dio e a Mammona", ammonisce il Signore ( Lc. 16,13 ); inevitabilmente, chi ama l'uno odia l'altro, e chi ha il cuore attaccato alle proprie ricchezze, come valore primario e suo bene esclusivo, difficilmente riesce a far spazio a Dio e alle esigenze del suo Regno, che è di amore e di giustizia, di misericordia e di attenzione al dolore e al bisogno dei poveri e degli ultimi.

È emblematica, al riguardo, la parabola del "ricco Epulone", ne abbiamo conosciuto e ne conosciamo tanti; ma conosciamo, ed abbiamo conosciuto, anche persone ricche, che hanno investito tutti i loro beni, per aiutare i poveri, per curare e istruire abitanti di zone povere e dimenticate.
Tuttavia, il rischio della sterile ricchezza, fatta di un egoistico accumulo di capitale, da sprecare e godere con pochi, in una chiusa classe di ricchi, sempre più ricchi, è un rischio reale, è il rischio di perdere il bene più grande, che è l'amicizia con Dio, il godimento di Lui, per tutta l'eternità.

La ricchezza, è benedetta solo se "venduta", se data, se investita nel circuito della carità, che si fa carico del bisogno dei più poveri e diseredati, e testimonia, in ciò, l'amore per Cristo che si incarna nel povero.
"Avevo fame -recita il Vangelo di Matteo- e mi avete dato da mangiare, avevo sete e mi avete dato da bere, ero pellegrino e forestiero e mi ospitaste, nudo e mi copriste, infermo e mi visitaste, carcerato e veniste a trovarmi..." e, alla domanda: "Ma quando, Signore ti abbiamo visto, affamato, assetato, nudo, forestiero, malato?", risponderà: "Ogni volta che avete fatto questo ad uno dei più piccoli, l'avete fatto a me" (Mt. 25,34-40);

Quella, che il Maestro esige, non è una povertà sterile, ma una povertà feconda, resa creativa e fattiva dall'amore.
La povertà per il Regno di Dio, è anche il segno della vera sapienza; e la prima lettura di questa domenica ce lo insegna, attraverso l'esempio del re Salomone, la cui ricchezza era immensa, come immenso era il suo potere; tuttavia, questo re aveva un'aspirazione ben più grande e profonda, per la quale implorava Dio:
" Pregai e mi fu elargita la prudenza; i implorai e venne in me lo spirito della sapienza. La preferii a scettri e a troni, stimai un nulla la ricchezza al suo confronto; non la paragonai neppure ad una gemma inestimabile, perché tutto l'oro al suo confronto è un po' di sabbia, e, come fango sarà valutato; di fronte ad essa, l'argento. L'amai più della salute e della bellezza, preferii il suo possesso alla stessa luce, perché non tramonta lo splendore che ne promana. Insieme con essa mi sono venuti, tutti i beni; nelle sue mani è una ricchezza incalcolabile. ( Sap. 7,7 11)

Ora, noi abbiamo la sapienza del Vangelo, noi abbiamo la parola di Cristo, Sapienza di Dio e potenza di Dio, che si è manifestata, pienamente, per noi, sulla Croce.
È un discorso esigente e duro, questo della sequela in povertà, un discorso che Gesù fa a tutti e ad ognuno, fissando su di noi il suo sguardo d'amore, e non ammette compromessi.
Il racconto di Marco parla di un giovane triste, per l'enorme difficoltà a liberarsi delle numerose ricchezze, o meglio a liberare se stesso dall'avere, per coinvolgersi nella sequela, nel servizio, e nell'amore di tanti, da beneficare.

Il viaggio del giovane verso Gerusalemme si interrompe, egli non giunge, assieme al Maestro, alla pienezza della donazione di sé; ed ecco il commento di Gesù: «Quanto difficilmente coloro che hanno ricchezze entreranno nel regno di Dio!».
I discepoli rimasero stupefatti a queste sue parole, anzi sgomenti, di fronte alla prospettiva di una salvezza impossibile da raggiungere: «Figlioli, com'è difficile entrare nel regno di Dio! E' più facile, che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio».

Il discorso, tuttavia, non si esaurisce con queste battute perché, continua il Maestro, se qualcosa è impossibile agli uomini, non lo è presso Dio; «Perché tutto è possibile presso Dio».
Il Dio, che in Gesù di Nazareth si è fatto uomo, ci indica la via della salvezza, una via in salita, una via stretta e faticosa, una via di Croce, che Lui per primo ha percorso, mosso dall'amore; rinunciare a possedere e al potere, non è mai facile, così come non è facile servire, anziché dominare; ma se il cuore è aperto a Dio, se la sapienza di Lui ci illumina, e l'amore ci riscalda, si può camminare con Cristo, si può raggiungere la pienezza del dono di sé. e ricevere quel "centuplo" di cui Lui stesso ci parla, e col centuplo, la vita eterna.

Sr M. Giuseppina Pisano O.P.
Monastero SS.mo Rosario
mrita.pisano@virgilio.it