Omelia (08-10-2006)
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Commento Marco 10,2-16 (forma breve: Marco 10,2-12)

LA SPIRITUALITA' DEL CORPO

Generalmente noi facciamo una separazione abbastanza chiara tra cose spirituali e cose corporali.
Andare a Messa, per esempio, è una cosa spirituale.
Giocare una partita di calcio è invece un esercizio fisico.

Abbiamo imparato anche a distinguere bene tutta una serie di atteggiamenti che sono confacenti alla sfera dello spirituale, come il silenzio, la compostezza, la serietà (chissà perché?), rispetto ad altri, che sono invece legati all'ambito dello slancio fisico, come l'entusiasmo, la passione, l'allegria, l'agonismo.

La tradizione cristiana ha elaborato opere di misericordia spirituali e corporali, ben distinte tra loro, come sapete.

Ci hanno insegnato che nelle cose spirituali bisogna essere seri, mentre nell'ambito sportivo-fisico-corporeo si può sfogare tutta la nostra energia ed essere più "spontanei".

Oggi, in un momento certamente spirituale come la celebrazione della Santa Messa domenicale, abbiamo ascoltato una liturgia della Parola incentrata sul tema dell'amore coniugale, voluto da Dio nel suo progetto eterno.
Si tratta di un valore, che noi diremmo spirituale, altissimo.

Però vi vorrei far osservare il fatto curioso che tutte e tre le letture, per esprimere questo tema, ci parlano oggi di corpi umani.
Corpi maschili e femminili.
Corpi fisici.
Parti di corpi (costola, testa, carne).

Nella prima lettura ci viene illustrato una specie intervento chirurgico sul corpo di carne di Adamo. Dio gli tolse una costola dal corpo. Poi "richiuse la carne al suo posto".

Nella seconda si parla di noi cristiani come corpo di Gesù, membra di un organismo vivente di cui Lui è la testa, noi siamo le membra.

Nel Vangelo Gesù parla dell'uomo e della donna, chiamati a diventare "una sola carne".

Praticamente nelle tre letture si parla, in ordine, di uscire, dimorare o unirsi al corpo di un altro.

Proviamo a seguire questi tre movimenti (uscire, dimorare, unirsi), per cogliere il messaggio unitario della liturgia odierna, che si potrebbe riassumere in uno slogan: l'amore non può stare da solo.


USCIRE DAL CORPO DI UN ALTRO

Tutti noi abbiamo fatto l'esperienza di uscire da un'altra persona: nostra madre.
Questo movimento ha significato per noi l'inizio dell'avventura più straordinaria che poteva capitarci: la vita.
C'è stato un momento in cui eravamo uno nell'altro, distinti, ma con origine comune.
Ed è questa immagine dell'unità corporea che viene usata dalla Bibbia per esprimere la pari dignità dell'uomo e della donna.
Essi provengono da una unità originale (il piano di Dio) e non sono divisi o estranei, non sono in conflitto o antagonismo. Sono stati pensati come una unità complementare, in grado di esprimere l'unità di Dio stesso.
Hanno origine comune e come obbiettivo quello di ricreare questa unità, nell'amore reciproco.
Come il figlio ha la stessa dignità creaturale e umana della madre, così è della donna nei confronti dell'uomo. Uomo e donna sono pari davanti a Dio, fatti per aiutarsi a vicenda e sostenersi. Sono simili.

E' molto bella quell'espressione di Dio che abbiamo udito nella prima lettura: "Non è bene che l'uomo sia solo".
Non occorre nemmeno che Adamo si esprima: Dio ha già visto il suo bisogno e subito interviene per aiutarlo.

Adamo è molto contento del regalo che Dio gli ha fatto, creando la donna:

"Essa è carne della mia carne
e osso delle mie ossa!"


Gli studiosi dicono che questa è la prima poesia della Bibbia.
E' la prima volta che sentiamo la voce di Adamo. Per esprimere la sua gioia: la gioia di non essere più solo.

Questo fatto dell'uscire dal corpo di un altro, raffigurato nella donna, plasmata da una parte del corpo di Adamo, ci porta a una prima riflessione importante, oltre la metafora.

Dio non ci ha creati per essere soli.
Noi dobbiamo sforzarci non solo di dare agli altri, ma anche di ricevere.
Dobbiamo accettare anche di aver ricevuto qualcosa che non avevamo chiesto, in certo modo di dipendere. Finché non accettiamo questo, siamo ancora soli.
La nostra vita assume un significato profondo quando viene vissuta come Dio vuole, cioè con la consapevolezza che siamo creature in relazione e non possiamo chiuderci in noi stessi.
C'è gioia nel dare, è vero.
Ma è più difficile ricevere, accettare gratuitamente.
La psicologia ci dice che molti traumi e sofferenze nascono dalla non accettazione dell'amore gratuito, dall'impossibilità di sentirsi amati, o degni di amore.
Come Eva, uscita dal cuore di Adamo, così Cristo, uscito dal cuore del Padre, è l'immagine dell'amore ricevuto gratuitamente. Senza resistenza.
Dio, nel suo piano, ci vorrebbe così: aperti al dono.
Consapevoli che abbiamo bisogno degli altri.


UNIRSI PER FORMARE UN SOLO CORPO

Se quanto detto finora si riferisce al passato, all'aver ricevuto la vita da un altro, all'esser stati creati per vivere in relazione, quello che Gesù dice nel Vangelo odierno si riferisce invece al futuro: "Diventeranno una carne sola".
E' un desiderio e un invito.
E' riferito alle coppie sposate innanzitutto, ma lo vogliamo sentire rivolto a ciascuno di noi in modo speciale, ripensando a quelle parole di Cristo nell'ultima cena: "Padre, che siano una cosa sola" (Gv 17,11).

Nella cultura occidentale "formare una carne sola" pare avere un significato molto umano e concreto. Potremmo dire molto fisico: infatti alcuni interpretano questa frase come riferita all'unione sessuale degli sposi.
In realtà "carne" nell'Antico Testamento significa molto di più di carne nel senso in cui la intendiamo noi, oggi.
L'Antico Testamento non conosce la distinzione corpo-spirito tipica del nostro modo di pensare attuale, con la conseguente classificazione "spirito=parte alta della persona", "carne=parte bassa".
La Bibbia conosce la persona umana tutta intera, fatta di passioni, istinti, valori, affetti, emozioni, energie.
Quando il libro della Genesi ci dice l'uomo e la donna formeranno una carne sola, non intende riferirsi al corpo soltanto. "Carne" è la vita intera della persona umana. Diventare una sola carne significa allora condividere tutto, partecipare tutto se stessi, in un progetto condiviso di amore e di accoglienza.

Questo ci porta a una seconda riflessione.
Esiste non solo un movimento dall'altro verso la nostra vita, ma anche uno dalla nostra vita verso l'altro, alla ricerca dell'unità e della condivisione profonda.
Non solo siamo stati creati in comunione, capaci di ricevere amore e vita, ma anche in grado di formare comunione, dare amore agli altri, attraverso la condivisione di tutte le nostre risorse e talenti.
Siamo stati creati con la capacità di amare, donando noi stessi, tutta la nostra persona.
E' un incarico e un desiderio da realizzare. Non si tratta di qualcosa già dato e pronto, ma di una tensione continua, verso il dono maturo e consapevole.

DIMORARE IN UN ALTRO

Infine, prendiamo un momento la seconda lettura, che ci parla di un'altra prospettiva.
Essa ci dice che già fin da ora noi dimoriamo in Cristo.

Quando, da bambini, ci preparavamo alla prima comunione, chissà quante volte ci è stato detto che, nell'ostia consacrata, riceviamo il corpo di Gesù. Egli viene a dimorare in noi.
Poi, col tempo, comprendiamo che nel mistero dell'Eucaristia si avvera il contrario: è il maggiore che attrae il minore, che in realtà siamo noi a dimorare in Lui, condividendone la vita divina.

Noi siamo membra del corpo di Cristo, ci dice la seconda lettura.
Cristo è il nostro capo e noi dimoriamo nel suo corpo.
Essendo nel suo corpo, ne condividiamo tutti i benefici, la stessa vita.
E' stupefacente poi ascoltare le parole successive: "Colui che santifica e coloro che sono santificati provengono tutti da una stessa origine; per questo non si vergogna di chiamarli fratelli". Scopriamo così di essere consanguinei di Dio, di avere la stessa origine. Tutto ciò è possibile grazie all'incarnazione del Verbo, sommo sacerdote compassionevole e fedele, che si è fatto uomo come noi, per salvarci.

Questa è la nostra situazione attuale, in virtù del Battesimo, non una cosa del passato o un programma per il futuro.

Un membro, se vuole sopravvivere, non si può staccare dal corpo.
Così noi, siamo stati pensati da Dio non solo come capaci di ricevere amore e di donarlo agli altri, ma anche come partecipi della comunione divina, capaci di vivere in rapporto con Dio.

Preghiamo perché ciascuno di noi possa realizzare questa sua triplice vocazione:

l'accettazione di essere amato
l'impegno a donarsi agli altri
la fedeltà nel vivere il rapporto con Dio.

Commento a cura di padre Alvise Bellinato