Omelia (04-12-2003)
padre Lino Pedron
Commento su Matteo 7, 21.24-27

Gesù ci insegna che la preghiera deve essere in perfetta sintonia con la pratica della vita cristiana. Se non si compie la volontà del Padre, la preghiera non serve a nulla.

Gesù rimprovera l'autosufficienza di chi si ritiene a posto e dice: "Signore, Signore!" quando, in realtà, Gesù non è affatto il Signore della sua vita. La fiducia nel Signore non deve fare da paravento alla malvagità né la misericordia da pretesto alla dissolutezza ( cfr Gd 4; Rm 2,4).

La volontà del Padre è il suo disegno di salvezza. La preghiera richiesta da Gesù deve portare il cristiano a impegnarsi con entusiasmo e fino alla morte nell'opera della salvezza. Dio non sa cosa farsene delle belle parole di preghiera se non sono seguite dalle opere dell'amore.

Nella parabola dell'uomo saggio e dell'uomo stolto viene riassunto il significato di tutto il discorso della montagna. Non basta ascoltare le parole di Gesù, bisogna anche metterle in pratica. L'ascolto è il presupposto per il fare. Uno infatti agisce secondo le parole che ha dentro. La differenza tra sapienza e stoltezza sta nel fare le parole del Signore o le proprie, nello scegliere come fondamento del proprio agire la roccia che è Dio o la sabbia del proprio io.

La roccia che dà stabilità al cristiano è Cristo. La parabola ci indica le due condizioni necessarie perché la vita cristiana risulti solida: deve fondarsi si Cristo e passare dalle parole ai fatti. Non c'è vera adesione a Cristo senza l'impegno morale. Il fondamento sicuro della vita cristiana è la pratica degli insegnamenti di Gesù. L'ascolto è necessario, ma quel che più conta è l'esecuzione di ciò che è stato ascoltato.

Alla dogana della morte non passa nulla di quello che abbiamo, ma solo quello che abbiamo dato e quella che siamo. Chi non costruisce sull'amore, viene sepolto dalle macerie di ciò che ha costruito sul proprio egoismo.