Omelia (08-10-2006) |
padre Raniero Cantalamessa |
Far sì che la crisi non consumi il matrimonio, ma lo migliori Il tema della Domenica XXVII è il matrimonio. La prima lettura comincia con le ben note parole: "Il Signore Dio disse: Non è bene che l'uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che sia simile a lui". Ai nostri giorni il male del matrimonio è la separazione e il divorzio, al tempo di Gesù era il ripudio. In certo senso, questo era un male peggiore, perché implicava anche una ingiustizia nei confronti della donna che è ancora in atto, purtroppo, in certe culture. L'uomo infatti aveva il diritto di ripudiare la propria moglie, ma la moglie non aveva il diritto di ripudiare il proprio marito. Due opinioni si scontravano, a riguardo del ripudio, nel giudaismo. Secondo una, era lecito ripudiare la propria moglie per qualsiasi motivo, ad arbitrio dunque del marito; secondo l'altra, invece occorreva un motivo grave, contemplato dalla Legge. Un giorno sottoposero questa questione a Gesù, aspettandosi che egli prendesse posizione in favore o dell'una o dell'altra tesi. Ma ricevettero una risposta che non si aspettavano: "Per la durezza del vostro cuore egli (Mosè) scrisse per voi questa norma. Ma all'inizio della creazione Dio li creò maschio e femmina: per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e i due saranno una carne sola. Sicché non sono più due, ma una sola carne. L'uomo dunque non separi ciò che Dio ha congiunto". La legge di Mosè circa il ripudio è vista da Cristo come una disposizione non voluta, ma tollerata da Dio (al pari della poligamia e di altri disordini), a causa della durezza di cuore e dell'immaturità umana. Gesù non critica Mosè per la concessione fatta; riconosce che in questa materia il legislatore umano non può fare a meno di tener conto della realtà di fatto. Ripropone però a tutti l'ideale originario dell'unione indissolubile tra l'uomo e la donna ("una sola carne") che, almeno per i suoi discepoli, dovrà essere ormai l'unica forma possibile di matrimonio. Gesù però non si limita a riaffermare la legge; aggiunge ad essa la grazia. Questo vuol dire che gli sposi cristiani non hanno solo il dovere di mantenersi fedeli fino alla morte; hanno anche gli aiuti necessari per farlo. Dalla morte redentrice di Cristo viene una forza –lo Spirito Santo – che permea ogni aspetto della vita del credente, compreso il matrimonio. Questo viene addirittura elevato alla dignità di sacramento e di immagine viva della sua unione sponsale con la Chiesa sulla croce (cf. Ef 5, 31-32). Dire che il matrimonio è un sacramento non significa soltanto (come spesso si crede) che in esso è permessa, lecita e buona quella unione dei sessi che fuori di esso sarebbe disordine e peccato; significa, di più, dire che il matrimonio diventa un modo di unirsi a Cristo attraverso l'amore dell'altro, una vera via di santificazione. Questa visione positiva è quella che ha messo così felicemente in luce papa Benedetto XVI nella sua enciclica "Deus caritas est", su amore e carità. Il papa non contrappone in essa l'unione indissolubile nel matrimonio a ogni altra forma di amore erotico; la presenta però come la forma più matura e perfetta dal punto di vista non solo cristiano, ma anche umano. "Fa parte – dice – degli sviluppi dell'amore verso livelli più alti, verso le sue intime purificazioni, che esso cerchi ora la definitività, e ciò in un duplice senso: nel senso dell'esclusività – 'solo quest'unica persona' – e nel senso del 'per sempre'. L'amore comprende la totalità dell'esistenza in ogni sua dimensione, anche in quella del tempo. Non potrebbe essere diversamente, perché la sua promessa mira al definitivo: l'amore mira all'eternità" Questo ideale di fedeltà coniugale non è stato mai facile (adulterio è una parola che risuona sinistramente anche nella Bibbia!); oggi però la cultura permissiva ed edonistica in cui viviamo lo ha reso immensamente più difficile. La crisi allarmante che attraversa l'istituto del matrimonio nella nostra società è sotto gli occhi di tutti. Legislazioni civili, come quella del governo spagnolo, che permettono (e indirettamente, in tal modo, incoraggiano!) a iniziare le pratiche di divorzio dopo appena pochi mesi di vita insieme. Parole come: "sono stufo di questa vita", "me ne vado", "se è così, ognuno per conto suo!", ormai vengono pronunciate tra i coniugi alla prima difficoltà. (Detto per inciso: io credo che un coniuge cristiano dovrebbe accusarsi in confessione del semplice fatto di aver pronunciato una di queste parole, perché il solo dirle è un'offesa all'unità e costituisce un pericoloso precedente psicologico). Il matrimonio risente in ciò della mentalità corrente dell'"usa e getta". Se un apparecchio o uno strumento subisce qualche danno o una piccola ammaccatura, non si pensa a ripararlo (sono scomparsi ormai quelli che facevano questi mestieri), si pensa solo a sostituirlo. Applicata al matrimonio, questa mentalità risulta micidiale. Cosa si può fare per arginare questa deriva, causa di tanto male per la società e di tanta tristezza per i figli? Io un suggerimento ce l'avrei: riscoprire l'arte del rammendo! Alla mentalità dell'"usa e getta" sostituire quella dell'"usa e rammenda". Ormai quasi nessuno pratica più il rammendo. Ma se non si pratica più sui vestiti, bisogna praticare quest'arte del rammendo sul matrimonio. Rammendare gli strappi. E rammendarli subito. San Paolo dava ottimi consigli a questo riguardo: "Non tramonti il sole sopra la vostra ira e non date occasioni al diavolo", "sopportatevi a vicenda, perdonandovi se qualcuno abbia di che lamentarsi dell'altro", " portate i pesi gli uni degli altri" (cfr. Ef 4, 26-27; Col 3, 13; Gal 6, 2). La cosa importante da capire è che in questo processo di strappi e di ricuciture, di crisi e di superamenti, il matrimonio, non si sciupa, ma si affina e migliora. Io vedo una analogia tra il processo che porta a un matrimonio riuscito e quello che porta alla santità. Nel loro cammino verso la perfezione, i santi attraversano spesso la cosiddetta "notte oscura dei sensi", in cui non provano più alcun sentimento, nessuno slancio; sono aridi, vuoti, fanno tutto a forza di volontà e con fatica. Dopo questa, viene la "notte oscura dello spirito", in cui non entra in crisi solo il sentimento, ma anche l'intelligenza e la volontà. Si arriva a dubitare se si è sulla strada giusta, se per caso non si è sbagliato tutto; buio completo, tentazioni a non finire. Si va avanti solo per fede. Tutto finito, dunque? Al contrario! Tutto questo non era che purificazione. Dopo che hanno attraversato queste crisi, i santi si rendono conto di quanto più profondo e più disinteressato è ora il loro amore per Dio, rispetto a quello degli inizi. Molte coppie non faranno fatica a riconoscere in ciò la propria esperienza. Anch'essi attraversano spesso, nel loro matrimonio, la notte dei sensi in cui viene a mancare ogni trasporto e l'estasi dei sensi, se mai c'è stata, è solo un ricordo del passato. Alcuni conoscono anche la notte oscura dello spirito, lo stato in cui entra in crisi perfino la scelta di fondo e sembra di non avere più nulla in comune. Se con la buona volontà e l'aiuto di qualcuno, si riesce a superare queste crisi, ci si rende conto di quanto lo slancio, l'entusiasmo dei primi giorni fosse poca cosa, rispetto all'amore stabile e la comunione maturati negli anni. Se prima moglie e marito si amavano per la soddisfazione che ciò procurava loro, oggi forse si amano un po' di più di un amore di tenerezza, libero da egoismo e capace di compassione; si amano per le cose che hanno realizzato e sofferto insieme. |