Omelia (06-12-2003)
padre Lino Pedron
Commento su Matteo 9, 35-38; 10, 1.6-8

Il numero dei dodici ricorda i dodici patriarchi delle tribù d'Israele e quindi ci presenta i dodici discepoli come i capostipiti spirituali del popolo di Dio che Gesù sta per ricostituire. La principale fisionomia dei dodici è quella di essere i continuatori dell'opera di Gesù, quasi il prolungamento della sua persona.

Il potere conferito ai dodici discepoli è quello di cacciare i demoni e guarire tutte le malattie, quindi di eliminare ogni sofferenza umana. Dobbiamo però ricordare con forza che il comando di predicare il vangelo del regno di Dio precede nell'ordine tutti gli altri e li supera per importanza.

Prima Gesù ha detto che le folle "erano stanche e sfinite come pecore senza pastore" (9,36). Ora dice che sono "pecore perdute" cioè disperse, fuori dall'ovile. E' volontà del Padre che il vangelo del regno dei cieli sia annunciato prima al popolo d'Israele. La delimitazione dell'ambito in cui vengono mandati i dodici è quella stessa del Cristo, inviato esclusivamente a Israele (Mt 15,21-28). Solo con la sua risurrezione Gesù riceve dal Padre il potere illimitato in cielo e in terra e quindi dà l'avvio definitivo alla missione universale dei suoi discepoli (Mt 28, 18-20).

La predicazione degli apostoli riprende e continua l'annuncio del regno dei cieli fatto da Gesù (Mt 4,17) e da Giovanni Battista (Mt 3,2). Questo annuncio viene fatto con la parola (v.7), con le azioni di bene (v. 8a) e con la testimonianza della vita (vv.8a -10).

La testimonianza della vita consiste nella gratuità. Gli inviati di Dio non lavorano per il proprio onore, né per la propria grandezza, né per il proprio arricchimento. Il non ricercare il proprio interesse è certamente la prova più grande della bontà della causa che essi promuovono (1Cor 9,18; At 20,33; 1Tm 3,8; ecc.).