Omelia (22-10-2006) |
padre Gian Franco Scarpitta |
Sedere al servizio di tutti Quando veniva intronizzato un Re, poiché era chiamato ad esercitare un mandato di provenienza divina, aveva collocata la stanza del trono alla destra del Santissimo nel tempio. Cioè immediatamente accanto alla presenza del Signore (Biffi). Cosicché in tutta la Bibbia la "Destra" rappresenta una relazione immediata con la regalità di Dio e chi viene collocato "a destra" è oggetto di onorificenza in quanto partecipa della gloria e delle azioni di salvezza di Dio. E anche la sinistra doveva essere di conseguenza una posizione di grande onore e vantaggio. La richiesta dei due discepoli, che si differenzia dalla versione di Matteo per il solo fatto che lì essa era avanzata dalla madre di uno dei due (Mt 20, 20 – 22), non è quindi casuale né fuori luogo: essi chiedono di assumere un posto più dignitoso e di maggiore elevatezza rispetto a tutti gli altri, poiché chiedono di essere ammessi uno alla sua destra, l'altro alla sua sinistra. Perché chiedono questo? Probabilmente perché, senza affatto smentire l'importanza di tutti gli altri, avevano svolto un ruolo più speciale nella sequela di Gesù e nel suo ministero; probabilmente perché proprio loro, Giacomo e Giovani, assieme a Pietro saranno testimoni oculari della gloria di Dio in Cristo nel fenomeno della trasfigurazione al monte Tabor, oppure perché Giovanni verrà considerato "il discepolo che Gesù amava" e Giacomo non doveva essere da meno. Ma in tutti i casi essi pensavano di meritare un posto del tutto privilegiato nella dimensione del Regno. Poco prima avevamo affermato che questo episodio differisce dalla versione di Luca dal solo fatto che quest'ultimo mette in bocca la medesima petizione alla madre dei due discepoli, ma non è del tutto esatto. In realtà la differenza è ben più marcata e profonda: in Luca la mamma dei due aveva usato molta delicatezza e rispetto nel rivolgere la domanda; adesso invece i due discepoli stanno non chiedendo ma quasi pretendendo di essere assunti chi alla destra, chi alla sinistra. Il loro linguaggio è perentorio: "Vogliamo che tu faccia quello che noi ti chiederemo". Essi arroccano a se stessi insomma il diritto di essere esauditi quasi come se avessero dei crediti nei confronti di Gesù a motivo di quello che avevano fatto in precedenza e non è esagerato affermare che la loro pretesa assomiglia alle nostre tendenze di autoaffermazione personale tipiche delle raccomandazioni o delle richieste in senso clientelare per le quali noi siamo disposti a rivolgere le attenzioni a chi sta al di sopra di noi solo con l'unica finalità di guadagnare anche noi una posizione o una benemerenza. Non si può affatto smentire che i favoritismi, le raccomandazioni, il sostegno delle amicizie altolocate che consentono solo ad alcuni di raggiungere posti che ad altri sono preclusi tolgono spazio alla meritocrazia nell'assegnazione dei ruoli di responsabilità, favorendo sempre più ingiustizie e discriminazioni fra le persone. Sicché vi è chi ricopre degli incarichi che di fatto non meriterebbe di assumere, come pure chi viene collocato in una dimensione professionale o in una posizione poco conforme alle reali capacità e attitudini. Suscita poi ancora più sdegno e disgusto il notare come – inutile nasconderlo – siffatti attitudini di preferenza e di parte si realizzano non di rado all'interno di quella categoria che dovrebbe operare le proprie scelte in ragione del Vangelo della giustizia e dell'equità palesato dalla vita Gesù Cristo. Cioè nella Chiesa. Gesù avrebbe potuto rispondere a Giacomo e Giovanni altrettanto categoricamente, attraverso un discorso impostato magari sotto questi termini: "Ragazzi, quello che voi chiedete è assurdo e vi preclude addirittura la possibilità di essere miei discepoli, perché non avete capito nulla. Non soltanto non vi concedo quello che chiedete, ma vi dimetto." Invece, egli preferisce pazientemente ricorrere ancora una volta alle note pedagogiche sulla necessità del servizio: la reale preoccupazione non è quella infatti di stabilire quale sia la nostra posizione accanto al Padre o allo stesso Cristo; questo lo stabilirà il Signore stesso, le cui scelte non si confanno alle procedure tipiche dell'uomo o alla mentalità terrena che suole essere "di parte" ma sono invece orientate sulla vera e propria giustizia e terranno conto della reale disposizione di cuore del soggetto e dai meriti effettivi che questi potrà avere sul serio. Piuttosto, nostra preoccupazione è quella di seguire Gesù e di imitarlo in tutto, specialmente in quello che a noi costa fatica, rinuncia e ottiene non di rado anche la derisione degli altri e la persecuzione. Cioè nel servizio pronto e disinvolto. Se davvero si vuol seguire Gesù, di null'altro ci si deve preoccupare se non su come ci si deve collocare nella logica del servizio e della donazione agli altri fino alla disponibilità di soffrire ed immolarsi per la causa del Regno, ed essere disposti a bere il suo stesso calice ossia immedesimarsi nella passione e nella Sua morte di Croce, assumendo come lui le fattezze del Servo Sofferente di cui al libro di Isaia (I Lettura). Come afferma la Lettera di Giovanni, chi dice di amare e seguire Cristo deve comportarsi come lui si è comportato, il che non è affatto una frivolezza o un passatempo, ma comporta l'essere capaci di donarsi, di servire con amore e disinvoltura, essere capaci di compatire le infermità e le debolezze degli altri e soprattutto sapersi immolare e sacrificare anche nel senso fisico, quando questa debba essere opportuno. Avere di mira degli obiettivi di autoaffermazione e di successo vuol dire invece coltivare degli interessi del tutto egoistici e personali, che non potranno mai trovare approvazione nell'ottica del Vangelo. Cosicché la vita evangelica contrasta con gli elementi mondani di superiorità e grandezza per le quali molte volte si lotta e si accresce non di rado il sospetto fra di noi e verso gli altri. |