Omelia (29-10-2006) |
padre Gian Franco Scarpitta |
Per accettare il Figlio di Davide Vale la pena riportare alcuni versi di una poesia molto famosa di Eugenio Montale, dedicata alla moglie defunta: "Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio non già perché con quattr'occhi forse si vede di più. Con te le ho scese perché sapevo che di noi due le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate, erano le tue. Il testo sottolinea la verità fondamentale che non necessariamente il vedente è colui che dispone di una buona salute oftalmologia; e neppure è per forza non vedente chi ha la retina non funzionante: molte volte avviene addirittura il contrario, cioè che coloro che vedono in profondità sono proprio quelli che noi consideriamo "ciechi" o affetti da un qualsiasi disturbo alla vista. Già considerando lo stesso punto di vista fisico, ho sempre osservato come i non vedenti molto spesso siano più intuitivi e spigliati di chi vede tutto benissimo senza gli occhiali (tutti gli altri sensi sono più sviluppati) e nel piano dell'umanità e della spiritualità avviene che essi siano molto più ammirevoli di chi presume di vedere per il fatto che distingue la luce e gli oggetti. Prendiamo ad esempio questo non vedente di cui si cita anche il nome: "Baritmeo" (che vuol dire figlio di Timeo). I termini con cui questi invoca Gesù non sono affatto casuali: riconosce infatti in lui il Salvatore (Gesù) dalla stirpe del re Davide, in altre parole il Messia promesso dai Profeti, destinato ad essere Signore e Re universale; nella sua invocazione insomma fa una professione di fede, mostrando di esternare quanto egli di Gesù aveva coltivato in cuore da sempre. Cristo infatti non è un personaggio qualsiasi, sia pure grande ed eccezionale, quale poteva essere visto dalla maggior parte della turba, ma è il Figlio di Dio venuto a salvarci e a riscattarci da tutte le infermità, specialmente da quella più grande che è il peccato. E' il Dio fatto uomo per la nostra salvezza nelle cui parole ed opere si realizza la venuta del Regno di Dio a condizione che a lui si aderisca nello spirito della fece che scaturisce dalla conversione del cuore e dall'adesione disinvolta alla Sua Parola. Nella fede si accoglie Gesù quale egli veramente è e appunto per questo egli – facciamoci caso – in tutte le circostanze in cui viene pigiato dalla folla e questo deve condurci a considerare un dato di fatto evidente: da quello che mostrano i vangeli, mentre la folla si accalca attorno a lui facendo ressa e domandando certamente chi un miracolo, chi un intervento straordinario Gesù non sembra prestare attenzione a chiunque e non avviene quasi mai che egli esaudisca personaggi illustri o benestanti che nel consenso del mondo avrebbero la precedenza su tutti gli altri: si intrattiene invece con coloro che di solito la società bandisce o disprezza perché ritenuti peccatori come il gravissimo caso del lebbroso e del paralitico, e comunque sempre con persone umili, semplici, gravate dai comunissimi problemi della vita. Con queste persone Gesù si mostra molto più sollecito e disinvolto che con tutti gli altri. Addirittura in una circostanza specifica avviene che mentre Zaccheo si arrampica su un sicomoro per "vedere quale fosse Gesù", cercando di eludere la folla che non gli lascia spazio, Gesù stesso, come niente fosse lo chiama con inaspettata confidenza facendosi invitare a casa sua e adesso avviene che un cieco mendicante sta meritando le sue attenzioni. La motivazione di tutto questo è evidente: il Regno di Dio in Cristo viene rivolto innanzitutto ai poveri e agli esclusi, che da sempre sono i prediletti del Signore e soprattutto a chi è disposto a riporre in lui fiducia riconoscendolo come Dio e Signore. E' la fede in effetti a meritare che Gesù compia prodigi su tutti noi e la fede, essendo tale, non conosce categorie di persone ma promana dal cuore di ogni persona sensibile alla Parola e ben disposta alla sequela. Il non vedente quindi in realtà vedeva sin dall'inizio perché disponeva della prerogativa che lo aveva condotto a riconoscere Cristo quale Figlio di Davide, appunto la fede. La stessa che poi lo porterà a seguirlo per la sua via non appena ha realizzato il miracolo. Come più volte si è detto, aver fede vuol dire non soltanto credere ma anche affidarsi. Cioè aprire il cuore al Mistero di Dio in Gesù Cristo e lasciare che Questo si impossessi della nostra vita, contando su di Lui sia nel bene che nel male: La fede è insomma un fatto di vita. Da dove proviene? Da null'altro che da Dio stesso, essendo essa un Suo dono personale dato a piene mani ma è nostra responsabilità saperla accogliere e coltivare, alimentarla e sostenerla soprattutto di fronte alle intemperie e alle minacce spirituali. Essa potrà sempre costituire anche per noi la chiave di volta per accettare il Cristo figlio di Davide. |