Omelia (15-10-2006) |
mons. Antonio Riboldi |
Una cosa sola ti manca Credo da parte mia doveroso volgere l'attenzione al grande evento ecclesiale che proprio domani si celebrerà a Verona dal 16 al 20 c.m. E' dal 1976 che ogni dieci anni la Chiesa italiana, dopo una preparazione a livello parrocchiale e Diocesano, si interroga e si prepara per questo straordinario momento, che non esito a definire la Pentecoste del nostro tempo. E' una Chiesa che si interroga, leggendo i segni del tempo, come essere luce per gli uomini. Il primo convegno fu celebrato a Roma nel 1976 con il titolo suggestivo "Evangelizzazione e promozione umana". Ero presente, chiamato a testimoniare la presenza della Chiesa in eventi eccezionali come il terremoto nel Belice. E si respirava la grande voglia di "uscire allo scoperto", per vivere la fede in modo esemplare. Il secondo Convegno fu tenuto a Loreto nel 1986 con il tema della "Riconciliazione": ed era il tempo del dopo terrorismo e quindi la necessità di fondare i rapporti tra di noi, a volte scossi da esasperate forme come il terrorismo, sul perdono. Il terzo fu celebrato a Palermo dal tema "Comunione e comunità", come a mostrare la presenza della Chiesa nel Mezzogiorno, superando tentazioni di separazione o emarginazioni. Ed è facile, a distanza di tempo, constatare come la Chiesa abbia cercato, alla luce dello Spirito, di tracciare un cammino di civiltà dell'amore. A Verona ha scelto un tema davvero provocatorio: "Testimoni di Cristo Risorto, speranza del mondo". "Obbiettivo pertanto del Convegno Ecclesiale è chiamare i cattolici italiani a testimoniare, con uno stile credibile di vita, Cristo Risorto come la novità capace di rispondere alle attese e alle speranze più profonde degli uomini di oggi. Domande acute sorgono dai mutati scenari sociali e culturali in Italia e nel mondo, e ancor più dalle profonde trasformazioni riguardanti la condizione e la realtà stessa dell'uomo. Nel momento di un'epoca segnata da forti conflittualità ideologiche, emerge un quadro culturale e antropologico inedito, segnato da forti ambivalenze e da una esperienza frammentaria e dispersa. Nulla appare veramente stabile, solido, definitivo. Privi di radici, rischiamo di smarrire anche il futuro. Il dominante "sentimento di fluidità" è causa di disorientamento, incertezza, stanchezza, e talvolta persino di smarrimento e disperazione. In questo contesto i cristiani, estranei e pellegrini nel tempo, sanno di poter essere rigenerati continuamente dalla speranza, perché le tristezze e le angosce del tempo, sono "gettate" nelle mani del Dio di ogni giorno. Essi accolgono pertanto con gioia l'invito evangelico rinnovato da Giovanni Paolo II "a prendere il largo" (Doc. n.1). E' chiaro che il Convegno ecclesiale di Verona non è uno dei soliti convegni che si fanno, come uno scambio di prospettive o ricerca di ogni tipo. Qui la Chiesa e ogni cristiano è chiamato a riflettere su ciò che noi cristiani siamo, anzitutto nella nostra vita di fede e quindi nella società, o negli ambiti in cui Dio ci ha chiamati. I tempi che viviamo non concedono spazio a incertezze o "mode" o superficialità: chiedono di schierarsi apertamente da che parte stiamo "perché e per Chi Viviamo": e questo non con le facili parole, ma con il totale coinvolgimento della vita. In altre parole Gesù chiede, a chi davvero vuole seguirLo, di essere coerenti con Lui. Un cristianesimo superficiale, che è una fede di facciata, altro non fa' che dare ragione a ciò che non è Cristo. Per questo si usa la parola "testimonianza", che è vivere ciò che si è e non quello che si dice con le labbra contraddetto da quello che poi davvero si è. "Il mondo, affermava Paolo VI, ha bisogno oggi più che di dottori, di testimoni: meglio ancora se dottori e testimoni". Riusciremo, insieme, a farci coinvolgere dalla Pentecoste di Verona, fino a diventare credibili di fronte ad un mondo senza fede? Riuscirà Gesù a uscire dalla sala del Convegno come "risorto nello splendore" e coinvolgerci nella Resurrezione? Sappiamo tutti che Dio non si accontenta delle apparenze superficiali, ma, come è nello stile dell'amore, vuole ci vestiamo del suo abito che è la santità: ossia un "sì" senza incertezze a seguirLo. Ci aiuta in questo l'episodio del Vangelo di oggi. "Gesù, mentre usciva per mettersi in viaggio, un tale (si pensa fosse un giovane) gli corse incontro e gettandosi in ginocchio davanti a Lui, gli domandò: Maestro buono, che cosa devo fare per avere la vita eterna? Gesù gli disse: Perché mi chiami buono? Nessuno è buono se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non dire falsa testimonianza, non frodare, onora il padre e la madre. Ed egli allora gli disse: Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza. Allora Gesù, fissatolo, lo amò e gli disse: Una cosa sola ti manca: va', vendi quello che hai, dallo ai poveri e avrai un tesoro in cielo, poi vieni e seguimi. Ma egli, rattristatosi per quelle parole, se ne andò afflitto perché aveva molti beni, Gesù volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: Quanto difficilmente coloro che hanno ricchezze entreranno nel Regno di Dio! I discepoli rimasero stupefatti a queste parole, ma Gesù riprese: Figlioli, come è difficile entrare nel Regno di Dio! E' più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un ricco entri nel regno di Dio. Essi, ancora più sbigottiti, dicevano tra di loro: E chi mai si può salvare? Ma Gesù, guardandoli, disse: Impossibile presso gli uomini, ma non presso Dio! Perché tutto è possibile presso Dio! Pietro allora disse: Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito. E Gesù dette la sua parola che, anche se con persecuzioni, avranno cento volte tanto quello che hanno lasciato (ed era davvero poco perché erano pescatori) e la vita eterna". (Mc. 10,17-30). Proviamo a entrare nelle parole meravigliose e difficili di Gesù. Gesù incontra un giovane che diremmo oggi "buono", in regola con i comandamenti di Dio. E Gesù non lo contraddice in questa confessione, ma "lo fissò". Mi ha sempre fatto impressione quello sguardo di Dio che si manifesta e sonda fino in fondo la disponibilità di uno di noi. "Fissatolo, lo amò". C'è davvero tutto l'amore di Dio che mette alla prova, per vedere la capacità di trovare una risposta: una risposta di totalità nella scelta di Lui, una scelta che getta alle spalle tutti gli altri beni e considera bene appartenerGli. Se vuoi andare oltre la pura osservanza dei comandamenti, fino a farti conquistare dall'amore, "va' vendi quello che hai, dallo ai poveri, poi vieni e seguimi". Davanti a quel giovane, ieri e oggi e sempre, rimane un "sì" o un "no" a Dio, che chiede di essere il solo Amore da fare diventare solo bene della vita. Ma quel giovane, così generoso nella sua osservanza, mostra il lato debole del suo rapporto con Dio, ossia l'attaccamento ai beni della terra, che "valgono più di Dio", tanto che, "rattristato, per quelle parole, se ne andò afflitto perché aveva molti beni". Da qui l'amarezza di Gesù di essere considerato un bene inferiore ai beni della terra. Incredibile per chi sa cosa voglia dire amare. E mettere Dio al secondo posto suona davvero offesa grande a Gesù, da qui le parole: "Quanto difficilmente coloro che hanno ricchezze entreranno nel Regno di Dio!" Ed è anche oggi una scelta, quella di mettere in primo piano i beni della terra rispetto all'amore di Dio, molto diffusa. Quello che Gesù condanna aspramente non è avere, ma fare dell'avere un idolo. Quante volte Dio avrà fissato e amato giovani, ragazze, noi tutti, invitandoci a liberarci da un morboso amore per le cose di questa terra, e chissà quante volte avrà ricevuto una risposta negativa. E', se vogliamo, in parte, la crisi delle vocazioni. Ricordo il giorno in cui, rispondendo di sì a Gesù che mi aveva fissato ed amato, gli dissi "sì", seguendoLo e rinunciando a tutto, ma proprio tutto, con i voti di povertà, castità e obbedienza. In pratica, così, posso dire che per me "vivere è Cristo". Mai ho pianto per tanta gioia come quel giorno...come il giorno che la Chiesa mi chiamò al sacerdozio. Ricordo il pianto di papà, che era davvero una roccia per la sua serietà, e tanta era la sua commozione che non riuscì a legarmi le mani, dopo l'unzione fatta dal Vescovo. Così come fu immensa la gioia nel momento in cui il Card. Pappalardo mi unse il capo e mi ordinò vescovo, ossia pastore della Chiesa, pronto a dare la vita per Cristo. Difficile dire a parole la gioia che si prova nel sapere di essere tutto di Dio o meglio Lui è il tutto. E' una gioia che è il dono che effondiamo nel nostro servizio. Dire "sì" a Dio può apparire duro, ma incredibilmente bello, se si è capaci, quel "sì", di renderlo sola parola dell' amore. Voglio dedicare ai giovani, che so generosi, se lo vogliono, le parole di don Tonino Bello: "Da' a questi miei amici e fratelli, la forza di osare di più. La capacità di inventarsi. La gioia di prendere il largo. Il fremito di sperane buone. Il bisogno di sicurezze li ha inchiodati ad un mondo vecchio, che si dissolve nei cuori...Dai ad essi, Signore, la volontà decisa di rompere gli ormeggi... La libertà è sempre una lacerazione. Stimola nei giovani una creatività più fresca e la gioia turbinosa che li metta al riparo da ogni prostituzione". |