Omelia (13-10-2006) |
Casa di Preghiera San Biagio FMA |
Dalla Parola del giorno Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge, diventando lui stesso maledizione per noi. Come vivere questa Parola? Il versetto è incastonato in un discorso che oppone l'osservanza della legge alla fede. La legge data a Mosè rappresentava senza dubbio un dono di Dio e indicava la via della vita. Ben presto, però, all'adesione di fede che portava ad abbracciare con amore la volontà salvifica di Dio, si sostituì l'osservanza rigida e fredda. La legge veniva così svuotata di ogni senso. Era un dono di Dio, quasi una sintesi delle sue benedizioni che da Abramo venivano a riversarsi sul popolo eletto, facendogli sperimentare la gioia della libertà. L'uomo l'aveva ridotta a peso opprimente, a norma arida e schiacciante. La meticolosa e puntigliosa osservanza era l'espressione di una presuntuosa autosufficienza e di un meschino servilismo che offuscava il volto di Dio-Amore. Svenduta in tal modo la libertà ottenuta ai piedi del Sinai, il popolo ricade nuovamente nella più umiliante schiavitù. La legge ora non veicola più la benedizione dell'Altissimo, ma la maledizione che ricade inesorabile su quanti confidano unicamente sulle loro forze. Ed ecco, il gesto di fiducioso abbandono di Gesù viene a spezzare le catene. Egli si fa "maledizione" per noi, cioè si immerge nella ristagnante palude del nostro ostinato e ricorrente opporre alla salvezza-dono una salvezza-diritto acquisita con le nostre forze. Una tentazione che continua a insinuarsi ancora oggi nel nostro rapportarci con Dio. Vogliamo "meritare" il paradiso! Si osservano i comandamenti, ci si assoggetta a mortificazioni, si fanno ope-re buone per "meritare". In altri termini per acquisire dei diritti dinanzi a Dio. Gesù, invece, si fa "maledizione", lasciandosi inchiodare sul patibolo che era l'espressione del massimo allontanamento da Dio: "Maledetto chi pende dal legno" recitava la legge. In tal modo Egli si apre con confidente abbandono alla salvezza che viene da Dio. Per questo suo gesto di fede e di amore non siamo più "servi", ma "amici", anzi "figli. Nella mia pausa contemplativa, ripeterò più volte questo versetto, lasciando che la crudezza dei termini mi scuota e metta in crisi il mio modo, non sempre filiale, di rapportarmi con Dio. Concedimi, Signore, di rapportarmi a te nel segno della fede e dell'amore. Donami di non essere preoccupato di accumulare "meriti", ma di vivere in un'adesione a te che sgorghi dall'amore e all'amore conduca. La voce di una fondatrice Credere è scoprire di essere amati da Dio, è affidarsi totalmente a questo amore rispondendo all'amore con l'amore. Chiara Lubich |