Omelia (22-10-2006)
mons. Antonio Riboldi
Chi vuol essere grande

Gesù doveva avere una grande pazienza nel tenere vicini a Sé discepoli anche se Lui stesso li aveva scelti perché stessero con Lui e quindi mandarli. Infatti portavano in sé tutta l'ignoranza e la debolezza della natura umana che ancora non è stata sfiorata dalla sapienza dello Spirito.
Abbiamo visto come Pietro, sentendo il Maestro che preannunziava la sua morte e resurrezione, "lo prese in disparte e gli disse: Sia mai!". E sentì il netto distacco tra quello che Lui era e, con Pietro, tutti noi: "Vai lontano da me, satana, perché tu mi sei di scandalo. Tu non la pensi come Dio, ma come gli uomini" (Mc 8).
Erano vicino ad un Maestro "Figlio del Dio vivente", che era l'esempio di cosa voglia dire essere considerato "nessuno" dagli uomini o forse uno che stava facendosi strada per diventare chissà cosa, come è nelle ambizioni umane: "Farsi strada", "essere qualcuno" o, meglio, "il primo di tutti"?
Isaia così descrive Gesù nella sua profezia: "Il servo del Signore è cresciuto come un virgulto davanti a lui e come una radice in terra arida. Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire. Al Signore è piaciuto provarlo, con dolori. Quando egli offrirà se stesso, in espiazione, vedrà una discendenza, vivrà a lungo e compirà per mezzo suo la volontà del Signore...il giusto mio servo, giustificherà molti: egli si addosserà le loro iniquità" (Is 23, 2-11).
Mi sono chiesto - e forse vi chiederete, molte volte - cosa spinge tanti a "farsi avanti", a essere uomini "di prima pagina" nei giornali, in TV, nelle tante insipide riviste e ancora peggio nel campo della politica, che dovrebbe essere "luogo di servizio", nella economia, nello spettacolo, ma anche in quello della violenza e della malavita organizzata... E due sono spesso le perverse ragioni: il prestigio e il potere.
Ho avuto modo di conoscere, anche se di sfuggita, alcuni appartenenti alla criminalità organizzata. Con uno di essi, invitato, ebbi la pazienza di ascoltarlo per due ore. Un incredibile sublimarsi: un continuo chiedermi: "lo sai chi sono io?" Al punto che era o è abitudine di circondarsi da tale "rispetto", che era proibito persino fare il loro nome, come fossero Dio: "Non nominare il mio nome". Incredibile.
Alla fine, volendo salutarlo, prima di congedarmi, finsi di non ricordare il nome. "Sto davvero invecchiando, mi scusi e mi capita di scordarmi i nomi". Notai il dispetto dell'interessato. Chiesi aiuto alle guardie che erano appostate nel corridoio, ma nessuno rispondeva. Ripetei la domanda un'altra volta. Silenzio e lo stupore diventò ira. Così la terza volta. Varcando la porta della cella, mi voltai, e lo chiamai per nome. "Ho fatto questo, gli dissi, per farle comprendere che per me non esistono persone così importanti da ricordarne il nome, con un incredibile e inaccettabile rispetto".
Ho ancora negli occhi il furore dell'interessato che se avesse potuto mi avrebbe fatto conoscere il fondo della sua ira. "Questa sera, disse, non arriverà a casa" fu la minaccia. "Arriverò, arriverò, gli dissi, perché mi protegge Dio. Se non altro per pregare per lei".
Dove arriva la superbia dell'uomo, una superbia che non si limita e non accetta di essere quello che siamo agli occhi di Dio: "poveri figli!".
Ma lasciamo parlare Gesù: "Si avvicinarono a Gesù Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo, dicendogli: "Maestro noi vogliamo che tu ci faccia quello che ti chiederemo. Gesù disse loro: Cosa volete che io faccia per voi? Gli risposero: Concedici di sedere nella tua gloria, uno alla tua destra, e uno alla tua sinistra. Gesù rispose: Voi non sapete ciò che domandate. Potete bere il calice che io bevo o ricevere il battesimo con cui sono battezzato? Gli risposero: Lo possiamo. All'udire questo gli altri dieci si sdegnarono con Giacomo e Giovanni. Allora Gesù chiamatili a sé disse loro: Voi sapete che coloro che sono ritenuti capi delle nazioni le dominano e i loro grandi esercitano su di esse il potere. Fra voi però non è così, ma chi vuol essere grande tra voi si faccia vostro servitore, e chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti. Il Figlio dell'uomo infatti non è venuto per essere servito ma per servire e dare la propria vita in riscatto di tutti" (Mc 10,35-43).
Che lezione, carissimi, per quanti fanno della vita una lotta per essere "primi!" con il danno che ne viene per quelli che non sono primi.
E' il mese del Rosario, quella meravigliosa devozione che tanti, ma tanti ancora coltivano, come un imparare dalla Mamma chi era Gesù. E chi meglio di lei, che sicuramente in cielo è "alla destra" del Figlio, poteva conoscere il cuore del figlio, fattosi servo nostro, fino a spargere il suo sangue per salvarci?
Piace donare a voi un piccola brano del "mio" Rosmini che ripeto, spero presto conoscerà l'onore degli altari. Rosmini apparteneva ad una famiglia molto ricca ed importante di Rovereto, ma nel momento che Dio lo ha chiamato a dare vita all'Istituto della Carità, scelse come abitazione un luogo solitario, il Calvario di Domodossola. Ed ogni volta mi reco al Calvario, amo soffermarmi nella cella dove abitava e lavorava. E ogni volta mi mette in crisi per la povertà di quell'abitacolo, dove lui svolgeva la sua vita di uomo di Dio e grande filosofo. Davvero come "servo di tutti".
Scrisse quel libricino stampato nel tempo in centinaia di migliaia di copie intitolato "Massime di perfezione", adattate ad ogni tipo di persona. Nella massima intitolata "Riconoscere intimamente il proprio nulla" scrive: "Il cristiano dunque deve imitare l'umiltà di Mosè. Quanto stentò a credere di essere lui l'eletto a liberare il popolo di Dio! Con affettuosa semplicità e confidenza rispose a Dio stesso di dispensarlo da quell'incarico, perché era balbuziente. Lo pregò di mandare invece Colui che doveva essere mandato: il Messia promesso. E tutto questo nonostante Mosè traboccasse di zelo per la salvezza del suo popolo. Il cristiano deve meditare e imitare continuamente la profondissima umiltà di Maria. Nelle divine Scritture la vediamo descritta sempre in quiete, in pace, in continuo riposo interiore. Di sua scelta la troviamo sempre in una vita umile, ritirata e silenziosa, dalla quale viene tolta se non dalla voce stessa di Dio o dai sentimenti di carità verso la sua parente Elisabetta.
A giudizio umano chi potrebbe credere che della più perfetta delle creature umane, ci fosse raccontato così poco anche nelle divine Scritture? Nessuna opera da Lei intrapresa, una vita che il mondo cieco direbbe di continua inazione, e che Dio dimostrò essere la più sublime, la più virtuosa, la più generosa di tutte le vite. Per essa quest'umile e sconosciuta giovinetta fu innalzata dall'Onnipotente alla più alta dignità, a un seggio di gloria più elevato di quello dato a qualunque altro, non solo tra gli uomini, ma anche tra gli angeli" (massime di perfezione, quarta, n.7).
E sorprendono le parole che S. Agostino, grande vescovo, disse del suo essere vescovo. "Ora noi che il Signore per bontà sua e non per nostro merito, ha posto in questo ufficio - di cui dobbiamo rendere conto e che conto! - dobbiamo distinguere molto bene due cose: la prima è che noi siamo cristiani, la seconda è che noi siamo posti a capo. Per il fatto di essere cristiani dobbiamo badare alla nostra santità, in quanto siamo messi a capo dobbiamo preoccuparci della vostra salvezza. Forse molti semplici cristiani giungono a Dio percorrendo una via più facile della nostra e camminando tanto più speditamente, quanto minore è il peso delle responsabilità che portano sulle spalle. Noi invece dovremo rendere conto a Dio prima di tutto della nostra vita, come cristiani, ma poi dovremo rispondere in modo particolare dell'esercizio del nostro ministero, come pastori" (dal discorso sui pastori).
Come sanno interpretare bene i santi di ieri e di oggi le parole di Gesù! A volte il mondo li ignora, ma poi si impongono con i soli che danno luce e sono luce per tutti, come fu il martirio di Paola Tonelli, che aveva dedicato una vita tra i più poveri in Africa e conobbe la gloria del martirio, che è la miglior testimonianza del Vangelo di oggi. Nessuno di noi sapeva della vita di Suor Lionella. Viveva nell'umiltà del servizio e il martirio la innalzò alla gloria.
E non posso, parlando di suor Lionella, non ricordare a tutti noi che oggi la Chiesa celebra la Giornata mondiale delle missioni, una giornata che non può ridursi a una offerta doverosa a chi dà la vita, ma deve essere un rispolverare la nostra missione che viene dal battesimo.
"Essere missionari - scrive in proposito il Santo Padre – significa amare Dio con tutto se stessi, fino a dare, se necessario, la vita per Lui.
Quanti sacerdoti, religiosi, religiose, laici, pure in questi nostri tempi, gli hanno reso la suprema testimonianza di amore con il martirio! Essere missionari è chinarsi, come il buon Samaritano, sulle necessità di tutti, specialmente dei più poveri e bisognosi, perché chi ama con il cuore di Cristo non cerca il proprio interesse, ma unicamente la gloria del Padre e il bene del prossimo" (dal messaggio del Papa).