Omelia (29-10-2006)
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* La prima lettura e il salmo di oggi si sviluppano sulle note gioiose di un inno di lode e di ringraziamento a Dio che interviene nella storia del suo popolo, nella storia degli uomini e di ogni uomo facendo grandi cose, consolando gli afflitti, dissetando gli assetati, indicando un cammino senza inciampi. E ancora nel salmo, liberando dalla schiavitù, ricolmando di gioia, ripagando chi con sforzo e sacrificio si è impegnato a seminare con un ricco e inaspettato raccolto. Il Signore dunque interviene e la sua azione, la sua presenza si manifesta più concretamente proprio nei momenti critici della schiavitù e del pianto, del deserto e dell'abbandono. Il nostro Dio, non ci lascia soli mai, perché, come rivela in Geremia, è un padre.
Geremia ci rivela la fedeltà di Dio alla sua vocazione di padre. Un padre che poi non esiterà a farsi uccidere dai suoi stessi figli pur di salvarli, di riscattarli dall'abisso. Un padre in fondo così simile a tanti padri incompresi, rifiutati, sbeffeggiati, insultati, umiliati dai loro figli che talvolta sembra sfoghino su chi li ha generati e li ama tutta la loro rabbia e il loro egoismo.
La speranza e l'ottimismo di un cristiano nascono dalla scoperta della filiazione divina. L'abbandono alla sua Provvidenza è il frutto della fiducia nel suo amore di padre. Anche se a volte, quando ci sentiamo prigionieri di noi stessi o delle situazioni, quando tutta la nostra fatica e il nostro impegno sembrano inutili, gridiamo dal profondo "Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?". L'esclamazione, quasi l'imprecazione di Gesù agonizzante, fatta propria da tanti agonizzanti nella malattia, nella povertà, nell'incomprensione, nell'odio, nella solitudine. Impariamo allora a rivolgerci al Padre anche con questa angosciosa e terribile domanda. Dove sei? Dove sei andato a finire? Perché mi hai abbandonato? E' il momento delle tenebre. Non lo vediamo. Non riusciamo a scorgerlo nella nostra vita. Ci chiediamo se siamo ciechi o semplicemente soli. Talvolta non abbiamo la risposta o la forza di rispondere. Ma dove, dove cercare la risposta, la chiave di lettura, solo tu Signore hai parole di vita eterna. E allora nelle tue mani affidiamo ancora una volta il nostro passato, il nostro presente e il nostro futuro.

* Il Vangelo ci ricorda però che Gesù passa e ripassa nelle nostre vite. Gesù ci passa vicino, come passò accanto a Bartimeo, e "temo che Gesù passi e non ritorni" (S. Agostino). Dobbiamo saperlo cogliere, fermare, non cessare di invocare il suo intervento, la sua luce. Bartimeo ci dà un esempio di perseveranza nell'orazione. Non demorde, quando Gesù sembra non sentirlo, grida più forte "abbi pietà di me!". Ecco un modo per non arrendersi alle tenebre, fare come Bartimeo, non stancarsi di invocare il Signore che prima o poi incrocerà la nostra storia, anzi forse è già vicino a noi e non riusciamo a scorgerlo. Anzi talvolta la stessa oscurità della sofferenza può diventare l'occasione d'incontro con Gesù "l'uomo nella prosperità non comprende è come gli animali...". Signore, che io veda! Che io veda la tua Provvidenza operosa nella mia vita e quando non riuscissi a scorgere più nulla, che io creda!
Vedere con gli occhi della fede è contemplare. Il cieco, il superficiale, il materialista, prende persino le cose dello spirito per il loro aspetto esteriore. E' cristiano colui che invece prende persino le cose della terra per il loro aspetto interiore e sublime (De Lubac), e con stupore e riconoscenza scorge la presenza di Dio nel quotidiano.

Commento a cura di Stefano e Teresa Cianfarani