Omelia (29-10-2006) |
don Mario Campisi |
Dai margini della strada al centro della Vita Il lungo viaggio intrapreso da Gesù verso Cesarea di Filippo (8,27), per poi dirigersi alla volta di Gerusalemme (10,32) sta per concludersi. L'evangelista Marco ne ha segnalato progressivamente le tappe, ma in modo teologico più che topografico, preoccupato soprattutto di inserire in questo contesto una lunga serie d'istruzioni del Maestro per i discepoli e la comunità futura. La guarigione del cieco di Gerico serve da cerniera tra la fase galilaica del ministero di Gesù e quella conclusiva a Gerusalemme. Il miracolo esprime il superamento della in intelligenza dei discepoli, ancora ciechi, mediante la vittoria della fede, cioè della luce che non scaturisce dalla concezione messianica trionfalistica e terrena, bensì dal dramma della croce. Il cieco mendicante rappresenta l'umanità che giace nelle tenebre dell'ignoranza e del peccato. Solo riconoscendo Gesù "Figlio di Davide" è possibile riacquistare la vista, per poterlo seguire sulla via della sofferenza e del martirio. Il cieco diventa così "il modello di un intrepido assertore della fede e di un discepolo che segue Gesù sino alla morte". Il cammino della fede del cieco Bartimeo, i suoi ostacoli, interni ed esterni, sono messi maggiormente in luce. E dunque anche i nostri. Il cieco non vede Gesù, non lo riconosce, ne sente solo parlare, vuole "vederlo"! Qui "riavere la vista" vuol dire "vedere Gesù", ma vedere Gesù significa "rinascere alla vista". Per questo il cieco si agita e grida sempre più forte "Figlio di Davide, abbi pietà di me". La fede è anzitutto "grido", "invocazione" verso colui che non si vede, perché si riacquisti lo sguardo sulla misura e sui colori della vita quotidiana. La fede è invocazione alla misericordia del "Figlio di Davide" perché guarisca il nostro sguardo da quelle cose che reputiamo solo come le uniche necessarie oscurando l'al di là delle cose stesse, eppure tragicamente insufficienti a colmare il nostro cuore e la vita. Di questa invocazione e di questo grido è testimonianza la preghiera di quel cieco che si annida dentro di noi. Poi ci sono gli ostacoli esterni: quello di molti che ostacolano la nostra invocazione, che "sgridano" il nostro desiderio e, lo dirottano verso l'immediato, l'accattivante, il piacevole del "qui e ora". Certo, la fede può essere invocazione soffocata anche dall'esterno, dal "così fan tutti" a cui persino la maggioranza può prestar credito. L'invocazione della fede è certamente grido insopportabile, ma Bartimeo e, in lui anche noi, abbiamo bisogno di essere fasciati dalla misericordia di Dio e di farne la gioiosa esperienza. All'invocazione della fede segue la "chiamata". Gesù si ferma e lo fa' chiamare. Quelli stessi lo prima lo avevano sgridato, ora dicono: "Coraggio! Alzati, ti chiama". La chiamata è un fatto personale. Ecco allora l'elemento fondamentale di tutto l'episodio: lo scambio dialogico tra Gesù e il cieco. Da una parte Gesù che chiama, proprio lui in persona (è molto bello vedere la folla-comunità che diventa voce di Gesù in questa chiamata); Dall'altra la prontezza del cieco che butta via il mantello della sua sicurezza, dove raccoglieva i dono della carità, balza in piedi e va da Gesù. Ma non basta. La chiamata deve divenire incontro personale, si deve passare dal dono al donatore, ancor di più si deve passare attraverso il dono (la vista) all'incontro (la visione). E' compendiata qui la fede come incontro personale, come passaggio dal vedere o volere vedere a Colui che si manifesta. La fede che salva, che fa incontrare Gesù come colui che guarisce la vista è anche la fede che "segue". Questo intreccio tra fede e sequela è della massima importanza: perché trae la nostra fede dalle secche della propria salvezza e la mette nel mare aperto della testimonianza. Una fede che ha incontrato personalmente il Signore diventa capace di attestarlo agli altri. Questa è la vera guarigione. Questo allora è il senso ultimo del "miracolo" del Vangelo di oggi: rendere possibile la sequela, creare la figura cristiana del credente, il discepolo. Da quel giorno il "cieco che vede" diventa il "cieco che segue" il Signore, Via, sulla strada di Gerusalemme. |