Omelia (01-11-2006)
Agenzia SIR


I primi due giorni di novembre – festa dei santi e ricordo dei defunti – ci invitano a uscire dal grigiore del quotidiano per guardare oltre, più in alto, là dove sono giunti, prima di noi, i nostri fratelli che ci hanno preceduti nella fede e sono ora nella pace.

Una moltitudine. Quanti sono i santi? Nella sua visione, Giovanni parla di "una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare di ogni nazione, popolo e lingua". Siamo in presenza di una folla enorme, nella quale non ci sono distinzioni di razze o di culture, tutti appartengono al popolo di Dio, il nuovo Israele. La caratteristica che li accomuna è quella di aver attraversato "la grande tribolazione". Per la realizzazione del Regno, essi hanno completato nella loro carne, ciò che mancava ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa. E ora sono con lui nella stessa gloria di Dio. Attraverso la sofferenza sono giunti alla gloria, a cominciare dai martiri, che hanno dato la vita per la fede. È questo il cammino da compiere per giungere, anche noi, a far parte della "moltitudine immensa". Nessuno è escluso, ma la condizione è uguale per tutti: avere seguito Cristo sulla via della croce, condividere con lui ogni giorno la lotta per la giustizia e per la pace.

Figli di Dio. Chi sono i Santi? La santità è una conquista, ma anzitutto un dono di Dio. Nella sua prima lettera l'apostolo Giovanni ci esorta a vedere "quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente". Non dobbiamo dunque guardare alla santità come nostro merito, ma anzitutto come dono, come grazia che ci viene da Dio. Lui solo è il santo e da lui viene ogni santità. Siamo "santi" perché, senza nostro merito, Dio ha partecipato a noi la sua stessa vita. "Noi fin d'ora, aggiunge l'apostolo Giovanni, siamo figli di Dio". La differenza tra noi e i santi del cielo è una sola: "Ciò che saremo, non è stato ancora rivelato". Non siamo ancora in grado di comprendere quale sarà la nuova condizione di vita che Dio ha preparato per noi, "quando saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è". Notiamo nelle stesse parole dell'apostolo la difficoltà di esprimere una realtà di cui ci manca l'esperienza: essere simili a Dio e poterlo godere per sempre. È questa la radice della speranza che sostiene ogni credente.

Essere beati. Numerose sono le categorie dei santi, che Gesù stesso indica nelle beatitudini, il discorso della montagna. Ci sono i poveri, gli afflitti, i miti, quelli che hanno fame e sete di giustizia, i misericordiosi, i puri di cuore, gli operatori di pace, i perseguitati, gli insultati e i calunniati. Per tutti costoro Gesù aggiunge: "Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli" e li definisce "beati" cioè graditi a Dio per la loro condizione o per la loro operosità. Tutti li accomuna il fatto di vivere un'apertura totale a Dio, al suo Regno e al prossimo. È l'atteggiamento di chi ha fame e sete di giustizia, di chi desidera la pace messianica, di chi è umile e pronto a dare la vita per il Regno di Dio e la sua giustizia. Il discepolo "beato" è colui che sa e vuole imitare Cristo "povero e umile di cuore". I santi, oltre che amici di Dio, sono anche i nostri modelli di vita. Come noi, hanno vissuto tempi difficili e hanno incontrato avversità, conservando la fede. Con il loro esempio ci esortano a non cedere alla tentazione, ad avere fiducia nella grazia di Dio e nella sua bontà. Un Dio che non abbandona mai i suoi figli nel cammino verso di lui.

Commento a cura di don Carlo Caviglione