Omelia (01-11-2006)
mons. Ilvo Corniglia


La festa odierna è una delle più care al popolo cristiano. Ci apre come uno spiraglio sulla città del cielo, la patria comune verso cui siamo incamminati e che tanti nostri fratelli hanno già raggiunto, la casa paterna dove si celebra in eterno la festa di Dio con i suoi amici (Apc. 7,9-14: I lettura). Una festa che riempie l'animo di dolcezza, di esultanza, di speranza, di desiderio e di trepida attesa.
Chi sono i Santi?
Tutti coloro che hanno raggiunto la comunione perfetta con Dio - già sulla terra o attraverso la purificazione che il suo amore ha donato loro dopo la morte - e ora godono in cielo un rapporto vivo e beatificante col Padre e il Figlio e lo Spirito Santo: ecco i santi! Non sono soltanto coloro che - cominciando da Maria Santissima, la "Regina di tutti i Santi"- la Chiesa venera pubblicamente e la cui lista ufficiale si allunga di anno in anno. Ma anche tantissimi - cristiani e non- che nella loro vita hanno cercato Dio e hanno amato fino alla perfezione. Sono "una moltitudine immensa, che non si può contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua" (Apc. 7,9). Che sorpresa poterli un giorno incontrare e conoscere! Con molti di loro abbiamo magari condiviso un tratto di cammino nella fede. E quanti dei nostri amici e congiunti, che ci hanno lasciati nel pianto e che in questi giorni visitiamo nei cimiteri, ora sono membri di quel coro che in cielo canta a Dio e all' "Agnello"! (Apc. 7,9-10)
Quando diciamo "cielo" non pensiamo tanto a un luogo al di là delle nubi. Ma intendiamo quel vortice infinito di tenerezza, di bellezza, di vita, di libertà, di felicità che è la realtà di Dio, la realtà delle tre divine Persone congiunte tra loro in un perfetto intreccio d'amore. L'essere immersi in questo oceano di pace e di beatitudine, "questa vita perfetta, questa comunione di vita e di amore con la Santissima Trinità, con la Vergine Maria, gli angeli e tutti i beati, è chiamata "il cielo". Il cielo è il fine ultimo dell'uomo e la realizzazione delle sue aspirazioni più profonde, lo stato di felicità suprema e definitiva" (CCC 1024).
I santi sperimentano la realtà delle beatitudini proclamate da Gesù nel Vangelo. Il "beati!", che Gesù ripete nove volte come un ritornello martellante, è un appello a dare libero sfogo alla propria felicità. La serie di "beati!", che sembra non volersi arrestare, dice una felicità completa a cui non manca nulla per essere piena e traboccante. Il "beati!" viene poi ripreso e spiegato nel duplice imperativo finale: è una gioia interiore e profonda, non superficiale ("rallegratevi!"), ma che si esprime anche esternamente in modo esplosivo e contagioso ("esultate!").
Il motivo che fonda e alimenta tale gioia è quanto Dio farà nel suo amore gratuito. Un intervento che per i santi del Paradiso non è più futuro, ma realtà presente. Per questo la loro gioia è smisurata: "Grande è la vostra ricompensa nei cieli". Per noi invece, ancora in cammino, l'azione benevola di Dio in nostro favore è ancora oggetto di speranza; ma già possiamo sperimentarla, sia pure in modo iniziale e imperfetto. Tale intervento di Dio Gesù lo descrive con una ricca varietà di immagini:
- "Saranno consolati" (da Dio). Dio cambierà il loro destino di dolore in una esistenza di gioia. Farà loro gustare la sua tenerezza paterna e materna insieme.
- "Erediteranno la terra", vale a dire uno spazio di vita sicura, illimitata, ricca di ogni bene e di comunione con Dio e con gli altri. E' la vita eterna.
- "Saranno saziati" (da Dio). Dio appagherà al di là di ogni attesa e misura il loro desiderio di felicità. Li ammetterà al banchetto, alla festa finale del Regno.
- "Troveranno misericordia". Faranno l'esperienza del perdono di Dio, dell'infinita sua misericordia.
- "Vedranno Dio". Dio li ammetterà all'incontro personale e immediato con Lui. E' il culmine della felicità. Quale incontro? L'incontro del Padre con i suoi figli:
- "Saranno chiamati figli di Dio". Cioè, Dio li riconoscerà apertamente come i suoi figli. Li accoglierà nella sua famiglia divina, nel seno della Santissima Trinità.
- "Di essi è il Regno dei cieli". Il Regno, cioè Dio stesso che interviene in loro favore e ad essi si dona: questi beati ne sono i "proprietari" e gli eredi di diritto. Tale espressione apre e chiude la serie delle beatitudini e ne manifesta in sintesi il contenuto.
Veramente abbiamo qui il cuore del Vangelo: il nostro Dio ci vuole semplicemente felici. Felici della sua stessa felicità. Ciò che gli sta più a cuore è vederci felici. Lo farà. Ecco l'annuncio che Gesù ci offre. Ma l'agire di Dio non raggiunge la sua efficacia senza l'uomo e la sua libera cooperazione. L'amore di Dio ha bisogno che il suo dono trovi nel partner umano uno spazio in cui potersi riversare. Ha bisogno di uomini "poveri in spirito" (cioè umili e abbandonati filialmente al Padre), "affamati di giustizia" (cioè bruciati dalla passione costante di attuare la sua volontà), "puri" (cioè col cuore puntato interamente su di Lui), "miti", "misericordiosi", "operatori di pace". Sono i connotati del discepolo e, nella varietà delle espressioni, si riassumono nella fede e nella carità: "Beati quelli che credono! Beati quelli che amano!".
In effetti, è facile notare che le beatitudini si compongono ciascuna di tre parti strettamente legate tra loro: la proclamazione "beati!", la caratterizzazione degli uomini che vengono proclamati beati, l'azione di Dio che fonda l'essere beati. Ciò che è espresso nella terza parte è propriamente la "buona notizia" che rende felici. Nella seconda parte si indica l'atteggiamento dell'uomo che si apre all'azione di Dio. Ma l'intervento amoroso e gratuito di Dio (terza parte) fonda e rende possibile sia il "beati!" sia anche l'identità dei discepoli ("poveri in spirito... miti... misericordiosi ecc"). Vale a dire, l'amore di Dio che ci farà e già ci fa felici, ci dona anche di essere discepoli autentici. Gesù è il primo destinatario delle beatitudini che annuncia. Chi più felice di Lui? Chi più "povero in spirito, mite ecc.." di Lui? Le beatitudini sono un autoritratto di Gesù e anche un ritratto di come dobbiamo essere noi.
I santi, copia viva e perfettamente riuscita di Gesù e ciascuno in modo unico e originale, ora sperimentano in pienezza quel futuro promesso nelle beatitudini (terza parte). Nella loro esistenza terrena lo hanno atteso nella speranza e lo hanno pregustato, vivendo la fisionomia del discepolo tracciata da Gesù (seconda parte) fino a diventare un altro Lui. Rimangono i nostri amici e modelli. Amici che condividono la tenerezza di Dio verso di noi, ci guardano con i suoi occhi, ci amano col suo cuore. Ci attendono e ci desiderano nella loro compagnia. Quante persone care e fratelli di fede ora fanno già parte di questa famiglia in festa! Tutto ciò dà ali alla nostra speranza. Intanto noi possiamo godere della loro presenza amica, dialogare con loro, invocarli, venerarli. Soprattutto imitarli.
"Uniti all'immensa schiera degli angeli e dei santi, cantiamo con gioiosa esultanza la tua gloria" (Prefazio della festa). La nostra liturgia terrena si associa misteriosamente a quella celeste. La Chiesa del cielo e quella ancora pellegrina sulla terra formano insieme un coro a due voci, che con diverse tonalità compongono un'unica mirabile armonia. Secondo l'immagine suggestiva di s. Agostino, nella Chiesa ancora in cammino canta "l'amore che ha ancora fame", che cioè non ha ancora raggiunto il Bene a cui aspira appassionatamente. Nella Chiesa arrivata in patria canta, invece, "l'amore che già gode" Dio nella pienezza dell'appagamento, della pace e della gioia.
"Di noi tutti abbi misericordia: donaci di aver parte alla vita eterna, insieme con la Beata Maria Vergine e Madre di Dio, con gli apostoli e tutti i santi che in ogni tempo ti furono graditi" (II preghiera eucaristica)

Perché non proviamo a immaginare il Paradiso? E' un sogno? Il Paradiso, che è il sogno dei sogni, è la realtà più vera, perché è Dio stesso. Immersi in Lui, nel seno del Padre con Gesù, avvolti dall'amore dello Spirito Santo, con Maria, con i nostri cari, con la moltitudine sterminata di fratelli e sorelle che non ci stancheremo di conoscere...saremo Paradiso l'uno dell'altro, in quanto ognuno sarà pieno di Dio, sarà bello della bellezza di Dio e lo rifletteremo e ce lo regaleremo a vicenda. Vivremo la terza parte di ogni beatitudine.
Ma occorre attuare il programma di vita racchiuso nella seconda parte di ogni beatitudine. Occorre cioè credere e amare in ogni attimo e ogni gesto.
"Sarò santo se sono santo subito". Santi insieme, anticipando nei nostri rapporti concreti la vita di comunione perfetta che godremo in cielo.
Siamo consapevoli che "tutti i fedeli di qualsiasi stato o grado sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità" (LG 40), cioè alla santità?
I santi sono le persone pienamente realizzate anche nella loro umanità. Mi sento responsabile della mia santità? E anche di quella degli altri: "Camminiamo sulla strada che han percorso i santi tuoi...".