Omelia (05-11-2006) |
mons. Ilvo Corniglia |
Il libro del Deuteronomio, da cui è tratta la I lettura (6,2-6), vuole educare il popolo di Dio a vivere una relazione sempre più profonda col Signore, in risposta al suo amore di predilezione. L'appello è caldo e accorato: "Temi il Signore tuo Dio (cioè sii fedele a Lui) ...Ascolta, o Israele". (2 volte: presta un'attenzione seria alla parola di Dio nell'impegno di attuarla). In concreto, si tratta di "osservare tutti i comandi del Signore", cioè la sua Legge. "Bada di metterli in pratica...e così sia lunga la tua vita...perché tu sia felice e cresciate di numero...". Nella fedeltà all'Alleanza è racchiuso il segreto della felicità. Una felicità terrena e non solo celeste. Una felicità comunitaria. Il popolo di Dio ha la reale possibilità, ha i mezzi per costruire in questo mondo una vita felice, di pace, di benessere globale. La condizione? Attuare la volontà di Dio espressa nei suoi comandamenti. Tale convinzione non è smentita dal NT. Ovviamente tutto questo non significa superamento di tutti i problemi individuali: malattie, incidenti etc.. "Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo". Queste parole, con quelle che seguono, sono il cuore della fede biblica. Costituiscono la professione di fede che gli Ebrei fedeli, in tutti i secoli e ancora oggi, recitano più volte al giorno. Sono come il Padre Nostro per noi Cristiani. Queste parole proclamano la relazione stretta del popolo col Signore, la sua appartenenza a Lui, anzi l'appartenenza reciproca ("Il Signore è il nostro Dio": siamo del Signore e il Signore è nostro). È la realtà dell'Alleanza. Proclamano poi il primato assoluto dell'unico Dio ("è uno solo"). Israele, rinunciando al culto reso agli dei inesistenti, si consacra totalmente al suo culto e all'osservanza della sua Legge. Aderisce esclusivamente al Signore, non aspettandosi nulla da nessun altro, ma affidandosi interamente a Lui. Da questa affermazione di fede (la nostra appartenenza al Signore, l'unicità assoluta del Signore) scaturisce quel rapporto totalizzante con Lui che il testo definisce come "amore": "Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze". Il "cuore, l'anima, le forze" non designano tre facoltà differenti, ma l'uomo intero secondo dimensioni diverse: il "cuore" è il centro profondo della sua persona, dove nascono gli affetti e maturano le decisioni; l' "anima" indica l'intera sua esistenza permeata dal soffio vitale; le "forze" dicono la totalità del suo corpo vivente, tutte le sue energie e risorse anche fisiche. In definitiva tutta la realtà dell'uomo, tutto il suo essere Dio lo vuole interamente ed esclusivamente per sé. Il contenuto di questo celebre testo – che nella sua forma positiva riesprime in modo più profondo e completo il primo comandamento del Decalogo ("Non avrai altri dei di fronte a me": Dt. 5,7; Es 20,3) – è riproposto a noi Cristiani da Gesù stesso con un ulteriore arricchimento di significato e con una sorprendente pienezza. I rabbini avevano raccolto la Legge di Mosè in 613 comandamenti: 365 in forma negativa ("non devi"), tanti quanti i giorni dell'anno, ed erano considerati lievi. I rimanenti 248, in forma positiva ("devi"), tanti quante le membra del corpo umano secondo la concezione di allora, ed erano ritenuti gravi. Con questi numeri si voleva indicare simbolicamente che l'uomo nella totalità della sua persona, nell'intero arco della sua esistenza e nello spazio della sua attività deve essere tutto proteso verso Dio e pronto a compiere la sua volontà, espressa nella Legge. I maestri ebrei cercavano anche, nella serie interminabile dei precetti, di individuarne uno che avesse chiaramente il primato sugli altri e che in qualche modo li riassumesse tutti e così, osservandolo, si potesse osservare tutta la Legge. Per es. il famoso maestro Hillel, di poco anteriore a Gesù, aveva sintetizzato il contenuto della Legge nel "Non fare al prossimo tutto ciò che è odioso a te". In questo senso si coglie la domanda che lo scriba – sinceramente interessato all'insegnamento di Gesù – gli pone: "Qual è il primo di tutti i comandamenti?" Gesù risponde facendo sua la professione monoteistica del Deuteronomio (cfr. I lettura), che sulle sue labbra esprime un'adesione a Dio così intensa e ardente, quale mai fu vissuta prima di Lui né mai in seguito. La risposta di Gesù a questo punto sembrerebbe conclusa: al primo posto nella vita del credente c'è l'amore di Dio. Ma si affretta ad aggiungere: "E il secondo è questo: Amerai il prossimo tuo come te stesso". Un testo che proviene da un altro libro della Legge (Lv 19,18). Il comandamento dell'amore a Dio, che è indiscutibilmente il primo, non può esistere da solo. Pur rimanendo distinti, i due comandamenti si intrecciano e si richiamano a vicenda. Non posso amare Dio, se non amo quelli che Egli ama. Se mi impegnassi ad amare soltanto Dio escludendo il mio prossimo, la mia relazione con Dio sarebbe semplicemente falsa, inesistente e quindi illusoria. Se investissi ogni mia energia nell'amare gli uomini, escludendo espressamente Dio dal mio orizzonte, il mio rapporto col prossimo sarebbe semplicemente idolatria e amore non genuino. Ogni gesto è autentico se è insieme amore di Dio e del prossimo. Rispetto ad ogni ideologia aperta o strisciante, secondo cui "affermare Dio è negare l'uomo" (cfr. es Sartre), il Vangelo dichiara categoricamente che là dove si nega Dio si finisce per negare l'uomo e la sua dignità, là dove muore Dio muore anche l'uomo. Il primo comandamento non sta in piedi senza il secondo. Questo è la prova che ami Dio, è il modo concreto di amare Dio. Sei sicuro di amare Dio con tutto il cuore, se ami il prossimo come te stesso. Il credente non è più diviso fra i doveri verso Dio (culto, preghiera, osservanza del sabato...) e il suo comportamento nella vita familiare e sociale. Se vivo nell'amore le molteplici forme della relazione col prossimo, in uguale misura cresce la mia relazione con Dio. L'altro, che è semplicemente e sempre un fratello, non è un muro o una porta chiusa fra me e Dio. Ma una porta aperta, una via direttissima a Dio. Non di rado, forse inconsciamente, consideriamo sottratto all'uomo ciò che si dà a Dio e sottratto a Dio ciò che si dà all'uomo. Come se Dio fosse antagonista dell'uomo, e non invece Creatore, di cui ogni uomo è "immagine", e Padre che gode della concordia fraterna dei suoi figli. Amare il prossimo come se stesso è attenzione costante a fare agli altri ciò che vorremmo fosse fatto a noi (cfr. Mt 7,12). È la "regola d'oro", espressa in vario modo in tutte le religioni. Per es. nella tradizione musulmana si trova formulata così: "Nessuno di voi è vero credente se non desidera per il fratello ciò che desidera per se stesso". Lo scriba cercava di sapere quale fosse il primo comandamento. Gesù gliene indica praticamente uno solo: amare. E lo scriba conferma e sottoscrive la risposta di Gesù: il duplice amore "vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici". Non viene solo condannato il culto sterile e lontano dalla vita, ma si afferma che amando Dio e il prossimo si celebra il culto più vero e gradito a Dio. Gesù ratifica la dichiarazione del suo interlocutore riconoscendo che non è "lontano dal Regno di Dio". La novità e l'originalità di Gesù sta nell'avere rivelato e insegnato l'unità dei due comandamenti dell'amore. Sta anche nel fatto che nessuno li ha vissuti così perfettamente come Lui. La novità sta anche nel fatto che tale amore, impossibile alle sole forze umane, il Padre e Gesù ce lo comunicano, donandoci il loro Spirito. Implorare da Dio il dono dello Spirito Santo è chiedere tale capacità d'amare. L'Eucaristia, poi, è memoria e presenza dell'amore a Dio e agli uomini che Cristo ha vissuto in modo supremo nella sua Pasqua. È da qui che attingiamo la medesima capacità d'amare. Chiediamoci spesso: in questo momento amo veramente o mi sto illudendo di amare? Preferisco realmente Dio e Gesù a tutto il resto? Dio e Gesù sono realmente il mio tesoro più caro? Amo concretamente il prossimo, vale a dire voglio il suo bene e lo compio, direttamente o indirettamente? Quando al mattino mi troverò eventualmente preoccupato per i tanti impegni e le tante cose da fare nella giornata, potrò dire a me stesso: in definitiva, oggi non ho tante cose da fare, ma una sola su cui investire veramente, cioè amare. Così non perderò la pace. Ogni sera proverò a ricordare se ho compiuto qualche atto di amore genuino a Dio e al prossimo. Proverò a recitare lentamente l'"atto di carità", cercando di coglierne il significato ed esaminandomi se sono sincero nel fare a Dio una tale dichiarazione d'amore. "Mio Dio, ti amo con tutto il cuore sopra ogni cosa, perché sei bene infinito e nostra eterna felicità; e per amor tuo amo il prossimo mio come me stesso, e perdono le offese ricevute. Signore, che io ti ami sempre più". |