Omelia (05-11-2006) |
padre Gian Franco Scarpitta |
Fra il primop e il secondo " Ascolta Israele, il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo." Sono le prime parole del cosiddetto Grande Comandamento del Deuteronomio di cui alla Prima Lettura di oggi, che ci insegnano come innanzitutto sia fondamentale il fatto che il primo a prendere l'iniziativa dell'amore è Dio. Ci spieghiamo meglio: il presente passo biblico non va colto isolatamente, ma si innesta in una sezione del libro del Deuteronomio, nella quale Mosè sta pronunciando due dei tre discorsi al popolo d'Israele ormai giunto a ridosso della Terra Promessa e in procinto di entrarvi; il patriarca ricorda ai suoi connazionali le vicende che questi hanno affrontare sin dalla sua uscita dall'Egitto, le penurie del deserto, le inimicizie di popoli stranieri contro cui si è dovuto combattere ma richiama soprattutto l'attenzione sull'amore che Dio ha nutrito nei confronti del popolo durante tutto questo percorso, su come Egli sia stato provvidente nel soddisfare la fame nella vastità delle dune del deserto, e come si sia mostrato fedele alla Sua alleanza sul Sinai manifestando più volte la sua promessa. Dio si è mostrato insomma un Padre di amore e di misericordia nonostante il popolo non lo avesse meritato. Ha mostrato sempre il suo amore spontaneo e disinvolto, anche quando il popolo si mostrava propenso al tradimento e all'infedeltà. Ragion per cui adesso Israele non può esimersi dal mostrare riconoscenza mostrando fiducia piena e disinvolta nei confronti del Signore e non disdegnando di osservare i suoi comandamenti. Quello che deve fare Israele è innanzitutto mostrare attenzione al Signore riconoscendolo come Dio uno e unico accanto al quale non si ammettono altre divinità: "Ascolta Israele". Di conseguenza non può fare a meno di amare il suo Dio con tutto se stesso: anima, mente, forze perché la relazione con Lui sia reale ed effettiva e possa consolidarsi nei secoli a venire. Il contenuto del libro del Deuteronomio è fondamentalmente quello monoteistico poiché Israele è invitato ad amare Yavhè come unico Signore indiscusso e indomito quale suo Padre e salvatore, tuttavia l'amore verso Dio attesta la comunione con l'uomo Nel Vangelo di Marco il comandamento viene reiterato e ad esso ne viene aggiunto un altro che in ordine cardinale Gesù definisce "secondo" e che subentra immediatamente al primo facendo ad esso riferimento: "Amerai il prossimo tuo come te stesso." Amare soltanto Dio infatti non basta. Anzi, l'amore verso Lui suppone come logica conseguenza che si debba amare il prossimo cioè il fratello che ci avvicina e che condivide con noi la stessa esperienza umana. L'amore del prossimo è la prova del nove nonché la garanzia di una realizzata comunione con Dio, poiché è lo stesso amore che procede da Lui a riversarsi in noi pertanto solo chi è capace di amore verso gli altri è davvero amante di Dio. L'amore di Dio è monco e inesistente se non è esplicito nell'amore conseguente verso gli altri e come afferma Giovanni chi non ama il fratello che vede non può pretendere di amare Dio che (fisicamente) non vede e chi dice di conoscere Dio mentre odia il suo fratello e non osserva i comandamenti è un mentitore. Non per niente si afferma che l'amore è la pienezza della Legge di Dio: basta amare sinceramente e senza contraccambio e con sincerità e abnegazione per avere la certezza di stare compiendo quello che Dio vuole da noi e quando il nostro amore verso il prossimo è reale, completo, sincero e trasparente, nessun problema: stiamo davvero osservando tutti i comandamenti che nell'amore hanno appunto la sintesi. L'amore di Dio, quello cioè con cui Dio ci ha amati va donato a tutti: ai fratelli nella carne, ai vicini di casa, agli amici e finalmente anche ai nemici. Amore per i poveri che dipendono da Dio nel loro sostentamento ma anche per i ricchi che trascorrono non poche parentesi di crisi; amore verso chi ci è simpatico perché incute fiducia e risolutezza e amore verso chi ci è antipatico perché va compatito. Il vero amore consiste nell'accettazione dell'altro senza riserve e omettendo ogni retorica e negligenza, accoglienza spontanea di tutti nel clima della serenità e della concordia e soprattutto sincerità e trasparenza nelle nostre relazioni. Amore vuol dire essere generosi, dare a chi ha bisogno, prodigarsi per l'elemosina e per la carità, ma prima di tutto questo saper dare noi stessi e il nostro potenziale cioè essere persone di amore. Orazioni, pratiche religiose, fioretti, astinenze quaresimali... tutto perde il suo significato e viene ad essere pura e vacua esteriorità priva di meriti quando si omette quello che costituisce il perno e il fondamento del nostro essere uomini di fede e di fiducia nel Signore, appunto l'amore verso Dio e verso il prossimo. Ma soffermiamoci su un altro aspetto di questa pedagogia: "amerai il prossimo tuo come te stesso". Forse in questa frase vi è la chiave di volta nonché soluzione al problema del nostro mancato cristianesimo: non si potrà mai amare il prossimo se non si sarà capaci di amare realmente e in pienezza se stessi. L'amore di se stessi certo non è il culto interessato della propria persona o l'autoesaltazione di se stessi sugli altri e neppure è la pretesta affermazione delle proprie scelte e della propria persona; consiste piuttosto nel monito paolino per cui è necessario avere un "giusto" concetto di se stessi, ossia sapersi valutare senza esaltazioni eccessive ma anche senza eccessive autocommiserazioni e mortificazioni o deprezzamenti e soprattutto comporta la giusta cura della propria persona nella salute corporale, spirituale, culturale. "Amando me stesso saprò ispezionare attentamente tutto quello entra nel mio corpo, nella mia mente, nella mia anima e nel mio cuore "(Og Mandino) traendo quello che è vantaggioso e rifuggendo quanto deleterio perché l'amore possa sempre trionfare ed ergersi vittorioso nel Suo nome. |