Omelia (12-11-2006)
don Marco Pratesi
Come dono?

Gesù si siede nel tempio davanti alle cassette delle offerte. Non è un'annotazione oziosa: il "sedersi" indica che, come maestro, egli intende dare un insegnamento. Oggi la sua cattedra è qui, nel tempio, davanti alle cassette delle offerte. Un luogo apparentemente strano, o anche proprio inopportuno. Eppure Gesù sa che lì c'è qualcosa da imparare. Così, si mette a guardare come la gente fa la propria offerta. Quando arriva una vedova povera, allora è il momento di chiamare i discepoli e di iniziare la lezione.
Una volta di più, quanto è umanamente insignificante può essere per Dio di somma importanza e, viceversa, quanto attira l'ammirazione e l'attenzione dell'uomo essere di valore scarso per Dio. Ecco un esempio di quegli ultimi che diventano primi - e di quei primi che diventano ultimi - dei quali spesso Gesù parla. Questo ci rende attenti a non affidarci troppo alla svelta alle categorie del giudizio umano.
Oggi il Vangelo vuole portare ognuno di noi a farsi questa domanda: "e io, io come do"?
Qui c'è un mistero grande. Esiste un donare da ricchi e uno da poveri.
Chi dona da ricco mantiene le distanze, non si coinvolge. Prima si garantisce tutto, il suo dono non incide se non in modo trascurabile sulla sua vita, dona del superfluo. Si mantiene nell'orizzonte dell'autosufficienza, in ultima analisi della paura della morte, e rimane nell'orgoglio (anzi vi si rafforza). Questo dono non crea comunione, né in chi lo fa né in chi lo riceve.
Questa vedova rappresenta invece il donare del povero. Ella mette tutta la sua vita nelle poche cose che dà. La paura è superata, si mette in gioco; non guarda a sé, non si sente forte di sé, rimane nell'umiltà. Questo dono crea comunione, perché è condivisione, è amore.
Il brano non parla della ricompensa del dono, ma solo della sua qualità; è però evidente che un dono così mette in relazione di intima condivisione con Dio, di comunione vera con lui.
Non diversamente, infatti, il Figlio di Dio - scrive S. Paolo - ha voluto donare a noi, non da ricco ma da povero: "voi conoscete la gratuità del Signore nostro Gesù Cristo il quale, essendo ricco, s'è fatto povero per voi, affinché mediante la sua povertà voi poteste diventare ricchi" (2Cor 8,9). Siamo arricchiti dalla sua povertà. Mistero della fede, assurdità per la mentalità umana (per la quale solo la ricchezza può essere rimedio alla povertà), sapienza di Dio.
Allora: il mio modo di donare è quello del ricco o del povero?
Evidentemente non si tratta solo del problema delle offerte (anche!). Molto più ampiamente si tratta del mio modo di vivere il dono, sia nei confronti di Dio che degli altri. Perché il valore della mia vita dipende dal come dono, dal valore umano del mio dono. Nell'ottica umana conta la materialità del dono, in quella divina il suo significato (che, peraltro, è certo legato anche alla "quantità", giacché l'amore non potrebbe accontentarsi di donare solo briciole).
Il Signore conceda anche a noi di "gettare dalla nostra mancanza tutto quanto abbiamo", per trovare nel dono la ricchezza e la gioia.

All'offertorio:
Pregate fratelli e sorelle perché questo sacrificio sia vero dono di noi stessi al Signore, e sia gradito a Dio Padre Onnipotente.

Al Padre Nostro:
Fratelli di ogni uomo perché figli dell'unico Padre, preghiamo insieme come il Signore ci ha insegnato: