Omelia (12-11-2006) |
padre Gian Franco Scarpitta |
Fede, speranza e carità in due vedove semplici Personaggi particolarmente deprezzati nell'Antico Testamento erano le vedove. Ad eccezione di Giuditta, donna ricca senza marito che contribuirà non poco alla vittoria degli Israeliti, tutte le vedove dell'antica alleanza erano costrette ad una condizione sociale a dir poco meschina e miseranda, dovendo barcamenarsi in un mondo di relazioni che già condannava in partenza le donne in genere, non importa se nubili o coniugate: le esponenti del sesso femminile non erano considerate nei diritti alla pari degli uomini, né venivano computate nel calcolo delle genealogie familiari e nelle discendenze. Dovevano sottostare all'uomo e non avevano voci in capitolo in società. Se tale era la loro situazione, quale doveva essere la condizione delle vedove, prive di marito e pertanto non più in grado di proseguire la continuità della specie? Esse non venivano considerate e non di rado venivano anche rese oggetto di soprusi e di ingiustizie da parte di chi approfittava di loro e assai raramente potevano ottenere giustizia. Non per niente nella Scrittura Dio si mostra difensore delle vedove come dei poveri e degli emarginati e in qualche parte della Bibbia vi è il monito: "Difendete la causa dell'orfano e della vedova". Chi vuole mostrarsi giusto deve rendere alla vedova quello che al ella è dovuto e pertanto i moniti di Dio in difesa di queste povere donne sono molto frequenti. Il Signore però non si limita a compatire le vedove e a difenderle. Egli le valorizza, dando loro fiducia e importanza e avallando la loro capacità di essere missionarie nonostante la loro condizione sociale, pertanto la vedovanza è anche un fatto vocazionale: è possibile rendere testimonianza agli altri della propria fede, essere promotori della speranza nella vita eterna nella coltura del caro marito estinto e si ha anche non poco tempo per dedicarsi alle opere del Regno (Cfr: D. Tettamanzi, La vedova cristiana). Ragion per cui nell'ottica di Dio la vedovanza è una ricca opportunità che aiuta a prescindere dal dolore della scomparsa del proprio consorte. Ed ecco qui due esempi classici di testimonianza e di eroismo nella condizione vedovile: il primo è quello della vedova di Zarepta, alla quale viene mandato Elia da parte del Signore per trarre ospitalità e nutrimento. Questa povera donna, nonostante le condizioni di miseria che affliggono lei e il suo fanciullo non esita a prestare ascolto alle parole di colui che poi non tarderà a riconoscere come un profeta: a differenza di qualsiasi altro che neppure aprirebbe le porte al primo venuto, ella si fida del suggerimento di Elia e questo le procurerà che vengano sfamati con l'abbondanza di cibo sia lei, sia il piccolo figliolo sia lo stesso Elia. La vedova rompe gli indugi del sospetto e dell'indifferenza e si lascia condurre dalla fede, dalla speranza e dalla carità, che già in questo racconto traspaiono anche se non ancora nella chiarezza del Nuovo Testamento: ella ha fede in un uomo mandato da Dio e non lesina nell'ospitalità e nell'accoglienza caritatevole, sperando nella sola ricompensa del Signore che non tarda ad arrivare visto che tale generosità e buon cuore le meriteranno la resurrezione del figlioletto improvvisamente deceduto (vv 17 -24). La carità effettiva si riscontra anche in un'altra vedova, quella che Gesù addita agli scribi suoi interlocutori quale esempio di amore e di fedeltà al Signore; anche questa donna esterna la propria fede in Dio nel versare una quota alle casse del tempio che raccoglievano fondi per il culto; la speranza di ricevere l'apporto del Signore che prontamente arriva nelle parole di Gesù che le daranno vigore, conforto e fiducia esaltandola verso tutti gli altri uomini; e finalmente anche la carità che non consiste nel dare il superfluo dei suoi averi bensì nel donare tutto quello che ella al momento possedeva ossia quei pochi spiccioli di cui si stava privando per un'opera che sul momento considerava di maggiore importanza. Fede, speranza e carità in queste due letture traspaiono nella concretezza degli atti di due persone semplici, umili e sottomesse come le vedove che tuttavia Dio non manca mai di esaltare a motivo della testimonianza che esse rendono agli altri nel nome del Signore e questo sottolinea l'amare constatazione della realtà di fatto che tanta e tale generosità in tutti i tempi compreso il nostro è sempre stata propria delle persone "ultime", cioè dei poveri e degli ultimi: dove vi è più precarietà immancabilmente vi è anche maggiore apertura di cuore e sensibilità ai valori cristiani e questo a condanna di tanti fra di noi che coltivano le sicurezze altezzose del perbenismo e del benessere economico che al contrario nella maggior parte dei casi comporta chiusure, asprezze e neghittosità verso Dio e il prossimo. Non sono rari infatti i casi in cui i possidenti e i benestanti si mostrino alquanto restii alla generosità e alla condivisione dei propri beni con coloro che mancano del necessario mentre i poveri aiutano chi soffre più di loro. Dovremmo un po' tutti configurarci a ciascuna di queste due vedove, ossia acquisire semplicità e mansuetudine per poter riscontrare che la vera sicumera vantaggiosa è quella che scaturisce dal cuore per cui siamo in grado di aprirci al grande dono della fede e della speranza che motivano e raffornzano in noi la carità negli atti di generosità concreta. Essere generosi nel senso di essere davvero pronti e solleciti nei confronti del prossimo è del resto una virtù che non manca mai di apportare meriti e soddisfazioni interiori, rendendo palese il vero senso della nostra esistenza. |