Omelia (12-11-2006) |
mons. Ilvo Corniglia |
In questo brano evangelico Gesù denuncia, con una critica sferzante e impietosa, il comportamento degli scribi, cioè gli intellettuali e guide religioso - morali del popolo. Sono affetti da arroganza e vanità (ambiscono i saluti e i primi posti). Sono ipocriti (le loro lunghe preghiere in pubblico sono finalizzate a riscuotere l'ammirazione e il plauso della gente). Sono avidi e sfruttano le vedove, che nella loro precarietà sociale ricorrono alla loro consulenza. Nella società odierna e anche all'interno della stessa comunità cristiana, il quadro tratteggiato da Gesù risulta superato e anacronistico? In realtà è un pericolo sempre in agguato, contro il quale occorre una vigilanza costante. Segue la scena della vedova che col suo gesto, in netto contrasto col comportamento degli scribi, manifesta sincera pietà e grande generosità. Potremmo dire che oggi la parola del Signore ci obbliga a sostare davanti a due figure femminili: due vedove. Nella società antica appartenevano alla classe dei poveri: mancando ogni sistema di assistenza e assicurazione sociale, erano facile preda di profittatori e sfruttatori (come abbiamo sentito dalla violenta accusa di Gesù nei confronti degli scribi). Verrebbe da chiedersi se vale proprio la pena fermare a lungo l'obiettivo su due figure di così scarsa rilevanza sociale e sul loro gesto...quasi insignificante. La parola di Dio, però, sfida e contesta la nostra logica comune e vuole che oggi – e non solo oggi – la lezione ce la tengano queste due vedove anonime, sconosciute. La prima – circa 800 anni a.C – è una pagana (1Re 17,10-16: I lettura). Sta imperversando una grande siccità e quindi una terribile carestia. Il profeta Elia arriva a Zarepta, un villaggio della Fenicia. Qui incontra una vedova che sta raccogliendo legna e intesse con lei un dialogo, in cui le fa richieste sempre più impegnative (acqua, pane...). La donna fa presente la sua estrema necessità. Ma il profeta, in nome di Dio, l'assicura che la farina nella giara e l'olio nell'orcio non si esauriranno finché il Signore non manderà la pioggia. Elia con le sue parole manifesta la sua fiducia tenace nella Provvidenza di Dio, che non abbandonerà il suo profeta. La donna, che è pagana, si rivolge a Elia dicendo: "Per la vita del Signore tuo Dio...". L'espressione è già implicitamente una professione di fede nel Dio d'Israele. In ogni modo, "fece come le aveva detto Elia". Cioè si fida della parola che Dio le ha rivolto attraverso il suo profeta. Obbedisce con fede alla "parola che il Signore aveva pronunziato per mezzo di Elia". Compie un gesto di grande generosità. Dovrebbe infatti pensare anzitutto a se stessa e al figlio, ma antepone l'aiuto al profeta, mettendo a sua disposizione il poco che le rimane, ma che è anche tutto per lei. La generosità perfetta non consiste, appunto, nel dare poco o molto, ma nel dare tutto. La parola di Dio, espressa da Elia, si realizza mostrando la sua efficacia infinita a favore di chi crede. La vedova di Zarepta è figura dei pagani chiamati alla fede. Gesù vedrà in questo episodio l'annuncio dell'evangelizzazione dei pagani (Lc 4,25-26). Non è difficile cogliere molti tratti di somiglianza con la vedova pagana nella vedova protagonista dell'episodio evangelico. È facile visualizzare la scena all'interno del complesso del tempio, nel cortile delle donne. Gesù e i discepoli si avvicinano alle cassette, a forma di imbuto rovesciato, che raccoglievano le offerte per il santuario. Presso le cassette alcuni sacerdoti ricevevano l'offerta, ne prendevano nota e lo proclamavano ad alta voce. Un'occasione per i ricchi di far bella figura, di essere ammirati per la loro generosità. Gesù era lì e "osservava". Egli distingue tra la folla una donna che per il suo abbigliamento è riconoscibile come vedova e povera. Anche lei si avvicina alla cassetta dell'offerta e vi "gettò due spiccioli, cioè un quattrino (letteralmente un "quadrante")". Erano le monete più piccole messe in circolazione. Essendo in uno stato di povertà estrema, poteva dare una monetina per il tempio e l'altra tenerla per sé. Ma lei dà "tutto quanto aveva per vivere". Come la vedova di Zarepta. Chi vede il suo gesto esteriore non lo sa e non lo pensa. Comunque giudica che un contributo di tale entità non ha quasi nessun valore. Ma Gesù legge quel gesto nella sua reale portata col giudizio di Dio e vuole che i discepoli condividano la sua interpretazione. Ritiene di capitale importanza quello che comunica loro: "In verità vi dico: questa vedova ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri". Queste parole di Gesù tradiscono la sua emozione. Se poco prima aveva sottolineato la centralità dell'amore (cfr. Vangelo della scorsa domenica) con un insegnamento diretto, ora semplicemente vuole che i discepoli guardino un esempio, un gesto che è la traduzione concreta di quel comandamento. Si tratto appunto di un gesto d'amore. Non vistoso, anzi materialmente irrilevante. Ma il dono è totale. E in amore non conta la quantità di quanto si dà, non contano le cifre, ma il cuore e la sua capacità di dare tutto e di darsi interamante. Usando una frase paradossale, potremmo dire che "chi non dà tutto non dà niente". La vedova, nella sua generosità totale e senza risparmio, non è forse un'immagine e un presagio di Gesù stesso nel dono totale della propria vita che stava per compiere tra qualche giorno?. Assecondando l'invito di Gesù a imparare la lezione che ci viene dal gesto della vedova – anzi di entrambe le vedove –, proviamo a scoprire alcuni aspetti di tale insegnamento. - Dio registra con cura ogni gesto, anche il più nascosto: ai suoi occhi esso assume un valore e una bellezza capaci di affascinarlo nella misura dell'amore con cui è compiuto. - La vedova mi insegna a non giudicare le persone e i loro gesti dalle apparenze. I più generosi e i più devoti non sono necessariamente quelli che lo sembrano di più. Per es. il gesto di una persona che mi porterebbe a giudicarla gretta, meschina, indisponente o disimpegnata, è forse il massimo che lei oggi è in grado di dare. Dio solo vede nel segreto (cfr. Mt 6,4. 6.18). Dio solo "conosce i cuori" (Lc 16,15). È l'intenzione del "cuore", cioè proveniente dall'interno dell'uomo, che qualifica le sue azioni (cfr. Mt 15,19) e non la loro esecuzione materiale. Tra le azioni che l'uomo compie con intenzione pura, l'elemosina, cioè il gesto concreto di carità, è una delle più gradite a Dio (cfr. Mc 9,41; 10, 21 etc.). - La vedova mi insegna che i piccoli, quelli che non figureranno mai sui giornali o nella TV, sono capaci di gesti d'amore che non avranno mai l'onore della cronaca, non saranno mai pubblicizzati; ma che costruiscono la storia, quella vera, infinitamente di più di chi fa spettacolo. Penso per es. al servizio silenzioso di una madre di famiglia, di chi compie quotidianamente il proprio dovere senza far rumore, di chi si prodiga con tenacia e fedeltà in favore di chi soffre o ha bisogno etc. - La vedova insegna che nessuno è così povero da non aver nulla da dare e più il dono è totale e impregnato d'amore e più è prezioso. - La vedova insegna che, quando si tratta di Dio, è saggezza grande non riservarsi nulla ma dargli tutto, aspettandosi che Lui provveda da pari suo alla nostra indigenza. "Dio non bada tanto a ciò che gli doniamo, quanto piuttosto a ciò che riserviamo per noi" (s. Ambrogio). C'è un detto cinese molto paradossale, ma affine a questo pensiero: "Colui che si pone alla ricerca di Dio e spende tutto ciò che possiede meno l'ultimo soldo, è proprio un pazzo. Infatti è con l'ultimo soldo che...si compra Dio". In ogni momento della mia giornata Gesù "osserva" come opero, come dono, quanto dono, quanto e come mi dono. Può essere contento di me, ripetendo nei miei confronti l'elogio della vedova? |