Omelia (19-01-2003)
mons. Antonio Riboldi
Eccomi, Signore

E' davvero sorprendente come Dio, il Padre, abbia cura di noi, fino a trattarci come figli, cui indica con infinito amore la Sua Volontà che è la sola ragione del suo voler bene e per noi la sola felicità o santità da vivere. Gesù, nel Vangelo di oggi, iniziando la sua missione di Redentore tra di noi, sceglie e chiama i primi apostoli. Lo fa con la semplicità di chi aveva gia nella mente che sarebbero stati i suoi "amici", con cui condividere poi la missione di donare agli uomini la salvezza. E meraviglia la pronta risposta dei chiamati, dei "scelti", senza alcun ripensamento...anche se non sapevano a cosa andavano incontro. In quel momento, ciò che importava era lasciarsi prendere dal fascino di seguire un Maestro, che dava la certezza di non ingannare...come invece avviene sempre per troppi, che si lasciano affascinare da maestri, che tali non sono, quando portano lontano dalle verità della vita: che è più grave errore si possa compiere, da parte degli uomini che si fanno cattivi maestri ed è il più tragico errore seguirli. Commuove, oggi, anche il racconto della chiamata del giovane Samuele, che, sentendosi chiamato, lascia il sonno e corre dal sacerdote Eli per chiedergli cosa desiderava. Alla fine, sapendo che la voce veniva da Dio, ha quella stupenda risposta, che è tanto simile a quella di Gesù, data al Padre, che lo mandava a noi: "Eccomi, Parla o Signore, perché il tuo servo ti ascolta" (Sam.3,10-19).

Colgo questa felice occasione, per rispondere a tanti di voi che, avendo saputo che il giorno 16 c.m. è il giorno del mio compleanno, non si sono accontentati di farmi gli auguri, ma hanno espresso il desiderio di conoscermi di più. Lo faccio volentieri, perché è giusto che gli amici sappiano chi sei: l'amicizia del resto si poggia sulla conoscenza profonda dell'amico. E intitolerò questo mio racconto di vita: AMORE E MISERICORDIA
Sono nato in un piccolo paese della Brianza, precisamente a Tregasio, frazione di Triuggio (MI), il 16 Gennaio 1923 e battezzato il giorno dopo. Il Signore mi ha fatto il dono di vivere finora ben 80 anni, non solo, ma mi dà tanta salute da poter operare come non li sentissi. E sono 80. Lui solo sa perché mi fa questo dono. Se si dà alla vita il significato di una risposta ad un dono di amore, la vita è affidarsi alla volontà di questo Amore, finché Lui vorrà. Posso subito affermare che in tutti questi anni - molti dei quali sono stati una difficile prova di fede, di speranza e di amore; ho come la sensazione che Lui, Dio, mi abbia condotto per mano ed in alcuni momenti mi ha davvero coperto della sua grazia. Io stesso non riesco a capacitarmi di tanti fatti e di tanta serenità: di tante opere che Lui, il Signore, ha operato e di cui davvero mi sento come colui che ha solo prestato mani, cuore, voce a Chi operava e parlava, Dio. E per questo ho intitolato questo "viaggio nella vita" "ECCOMI, SIGNORE" con un sottotitolo "MISERICORDIA E MISERIA". Sono nato in una famiglia molto povera di cose e ricca di fede e di amore. I primi passi della mia fede li ho fatti nella famiglia. Lì sono cresciuto, guardando alla vita come un "diventare santo". Subito da ragazzo sognavo di essere missionario e nella mia fantasia passavano continenti che non conoscevo, divertendomi a fare prediche, già da bambino. L'incontro con il mio Vescovo, il Card. Shuster, fu quello che suscitò la scintilla. "Antonio, vuoi farti sacerdote?" mi chiese, da chierichetto, al termine della Cresima. Gli dissi subito di no. Ma quel no, a sera, mi bruciava come un no a Dio. Per tre anni da ragazzo, mi inseguiva quella domanda e l'interrogativo: "E se davvero Dio mi chiama?" Fino a che mi dissi che quella era la mia strada: una strada sulla cui serietà e grandezza mi formò la famiglia, fino a che il Parroco mi disse: "Vai, è la tua strada". A 12 anni entrai a fare parte dell'Istituto della Carità, Padri Rosminiani, e fui accolto nell'Aspirantato di Pusiano (Como), dove feci i primi passi di ragazzo, che doveva essere tutto di Dio. Fino alla licenza ginnasiale. Nel 1939 fui ammesso al noviziato del Sacro Monte Calvario di Domodossola e lì imparai, nella regola e nella vita, cosa volesse dire essere un chiamato a quella forma di religione, che chiedeva di donare totalmente la vita a Dio perché ne facesse quello che voleva, dove voleva, in totale obbedienza. La regola fondamentale era quella "intelligente indifferenza" che è abbandonarsi a Dio...senza progetti propri. Quei due anni di noviziato sono il più bel ricordo della vita, perché, lontano da tutto vissi veramente Dio ed ora comprendo cosa voglia dire "vivere senza essere assediato dal mondo, come oggi". Nel 1941, con la consacrazione totale, attraverso i voti, entrai definitivamente nella Congregazione e da quel momento la mia vita e tutta di Dio. Feci gli studi classici, di filosofia e teologia, tra Domodossola e Torino e finalmente il 29 Giugno 1951 fui ordinato sacerdote a Novara.

PASTORE A MALAVOGLIA
Mi ero distinto per la mia intelligenza e la mia passione per la lettura. Era naturale in me il desiderio e l'aspettativa di essere "professore" nei nostri collegi, ossia di coltivare la carità intellettuale. Non sognavo la vita nelle parrocchie, che allora non era una scelta dell'Istituto, privilegiando quella dell'insegnamento. Ma l'obbedienza troncò di netto questa mia attesa e mi mandò proprio a operare in una parrocchia come coadiutore: a Montecompatri (Roma). Dio mostrò così che i suoi piani non erano i miei. E fu per me come un abbattere i sogni del futuro. Fu doloroso. Accettai la volontà di Dio, chiedendomi cosa voleva da me il Signore. Passai 6 anni ad operare in quella parrocchia, privilegiando quella che è sempre stata la mia passione: i giovani e gli ammalati. Dopo 6 anni, mi fu detto dall'obbedienza, che aveva deciso fossi parroco di quella parrocchia, che ormai era diventata una mia famiglia appassionatamente. Nel frattempo la congregazione aveva accolto la proposta del Vescovo Mazzara del Vallo di accettare una parrocchia a SANTA NINFA, nel Belice. Era una parrocchia che aveva subito un grosso trauma, per il matrimonio che il parroco aveva contratto con una ragazza del posto, che sembra fosse vicino a famiglie mafiose. Il paese si ribellò e non volle più parroci locali, ma chiesero un parroco continentale. Era davvero una sfida alla fede, alla speranza, alla povertà, alla carità, accettare tale parrocchia, che non aveva più fiducia nei preti ed era totalmente nelle mani del partito comunista e della mafia. Più che un decente alloggio, aveva veramente un più che povero luogo di riparo per sacerdoti. La notizia che l'Istituto aveva scelto questa frontiera della fede, suscitò in me molto entusiasmo...anche perché ero convinto non ci sarei andato, essendo già stato destinato a essere parroco di Montecompatri. MA I PENSIERI DI DIO NON SONO QUELLI DEGLI UOMINI. Improvvisamente l'obbedienza, con poche parole, mi comunicò che non avrei più fatto il parroco a Montecompatri, ma le mia destinazione era Santa Ninfa. "Caro don Antonio, diceva la lettera: l'uomo propone e Dio dispone. Vi recherete a S. Ninfa". Cercai di esprimere le mie difficoltà in una lettera. La riposta fu: "Lo Spirito Santo vuole che partiate subito". E così con le poche cose che avevo mi trovai a S. Ninfa', dove subito mi accorsi che andavo incontro, con altri due confratelli, a una difficile missione. La gente diffidava, giustamente dei sacerdoti. Erano pochissime donne anziane che ci frequentavano. La Chiesa era un vero deserto. E in quel deserto di sfiducia eravamo chiamati a operare. Una sfida alla speranza. Una sfida alla presenza di Dio, che ci vo: leva lì. Lentamente mi rendevo conto della pesante presenza della mafia che letteralmente aveva in pugno la libertà di tutti. Una situazione inaccettabile, davanti a cui occorreva tanto coraggio, voglia di libertà e pazienza. "Come il grano caduto in terra..."
Per due anni ci siamo come studiati. Loro noi e noi loro. Con amore. Per capirci. Per avere la forza di darci la mano. Con me c'era un coadiutore, diplomato, maestro, che era un vero mago nell'accostare i bambini. Da loro iniziammo la nostra opera. Con mille iniziative riuscimmo ad avere tutti gli scolari delle elementari (erano 500) e molti della scuola media, alla S. Messa festiva e quello che ancora più attirava, alla catechesi del pomeriggio, sempre della domenica. Era come una festa di paese assistere a quell'improvvisa e festosa invasione di bambini che, tenendosi per mano, si davano appuntamento al luogo della catechesi. E ogni domenica oramai era diventata festa. Una festa che si trasmise alle famiglie. Tanto che dopo qualche anno, in sintonia con il Concilio, tentammo la catechesi per adulti. Andando incontro a paure o abitudini, durante la Quaresima istituimmo la catechesi per adulti. E fu davvero grande meraviglia vedere la grande chiesa Madre, totalmente occupata per assistere alla catechesi che si tenne per tre settimane continue, giorno per giorno e di sera, rompendo così l'abitudine che, di sera, la donna non esce. In 10 anni così si era ricostituita una stupenda comunità, tanto che una domenica il Vescovo venendo a visitarci rimase stupefatto e si lasciò andare con la frase: "Era un deserto questa parrocchia ed ora è il più bel fiore della Diocesi". Era presente il mio superiore che subito colse l'occasione per annunciarmi che, visto che ero così bravo, mi destinava all'insegnamento dei futuri parroci a Milano. Questo a Novembre del 1967. Ed ero pronto a passare la mano. MA DIO HA DISEGNI SEMPRE PIU' IMPREVEDIBILI E ALTI. Dopo due mesi, il 16 Gennaio 1968, il terremoto letteralmente distrusse tutto. Cancellò i disegni degli uomini e Dio mi volle in una esperienza pastorale, che non era mai passata nella mia mente, con un taglio di carità che dovevo inventare, per tenere alta la speranza degli uomini, con la fede, ma soprattutto con la carità. Furono anni difficili, quelli del dopo terremoto: prima con la vita grama nelle tende: poi con quelle baracche che erano davvero il campo dello sfruttamento del dolore: quindi con i ritardi della ricostruzione. Avevamo di fronte terribili nemici: la mafia, la corruzione politica, la rassegnazione della gente. Non era permesso ad un padre, come è un parroco, fare finta che non esistessero questi nemici della dignità e della speranza. E mentre ricostruivamo la comunità ecclesiale, riportandola alla vita di chiesa, si divenne voce di chi non ha voce, con il coraggio che non teme le grandi sfide. E furono autentiche sfide, che potevano costare la vita. Miei intimi amici, che vollero essere paladini, di una rivolta a questi nemici, furono il Gen.le Della Chiesa, l'On.le Piersanti Mattarella, l'On.le Pio La Torre e il dott. Chinnici, fondatore del futuro pool antimafia. Mi seguirono fino alla mia ordinazione episcopale: vollero essere testimoni e lentamente tutti furono uccisi.. Ma essere diventato la voce di chi non ha voce è dare al grido una ragione, quella del diritto ad una casa è ad un lavoro, impedì che altri entrassero in quella disgrazia a fare violenza. E fu un vero prodigio. Ricordano in tanti il viaggio della speranza con i bambini a Roma dalle istituzioni: dall'On.le Pertini, che definì il Belice "vergogna dell'Italia", a Paolo VI che mi accolse cadendomi nelle braccia per dirmi "grazie" e poi promettere ai piccoli che sarebbe stato "nostro avvocato". Provò la mafia a fare sentire la sua voce; ma dovette prendere atto che la gente era in molta parte sfuggita alle sue mani. E LE SOPRESE DI DIO NON FINISCONO MAI
Oramai la ricostruzione era avviata e sembrò giusto alla obbedienza che cambiassi sede dopo 20 anni di Sicilia e di "quella vita". "Non avrei mai pensato, mi disse il mio superiore, che vi avrei mandato ad una missione che non prevedevo". E mi chiese ancora una volta di tornare al Nord per qualche altro incarico. Mi affidò il nuovo parroco, cui avrei dovuto fare le consegne della parrocchia a gennaio. Ma alla vigilia di questa nuova disposizione, si interpose ancora una volta LA VOLONTA' DI DIO che cancellò con un colpo di spugna quella degli uomini come aveva fatto sempre. Sua Santità Paolo VI a dicembre, mi inviò, tramite il vescovo, una lettere ben sigillata, in cui vi erano parole semplici ma pesanti come le montagne: "Sua Santità Paolo VI - era scritto - vi nomina alla Cattedrale di Acerra. Tanto per vostra norma e conoscenza. F.to Paolo VI" Sentire che Dio ora chiedeva a me di essere vescovo era come togliermi il fiato, non farmi capire più nulla dal lato umano. Non riuscivo a capacitarmi del perché e del come Dio scegliesse uno come me, che davvero si sentiva un incapace assoluta mante di tanta fiducia. "Dio ha bisogno di chi non è capace disse il mio Padre Spirituale, perché così opera Lui con noi e non noi senza di Lui". Accettai come uno che si mette totalmente nelle braccia di Dio. Venni informato che Acerra mancava del suo vescovo residenziale da 12 anni: una sede quindi difficile, come quella del Belice. Ci fu un interesse dei massmedia incredibile. Non si riusciva a comprendere come il parroco dei terremotati potesse diventare vescovo: meraviglia o scandalo della Chiesa. "Promoveatur ut amoveatur" In altre parole era un promuovere per rimuovere. E non è mai così nei piani di Dio. Sapevo di affrontare un'altra missione più complessa. "Finalmente si è trovato uno che ha accettato di essere vostro vescovo dopo i tanti rifiuti" annunciò il vescovo amministratore della Diocesi, annunciando la mia nomina a vescovo. Acerra mi accolse con una festa il cui ricordo è vivo ancora. Lentamente mi resi conto delle difficoltà ecclesiali e temporali. Una chiesa che era come una comunità fatta a pezzi, tutta da ricomporre: un territorio invaso dalla disoccupazione e dalla criminalità. Mi si chiedeva di camminare sulle spine ed accettai, sempre con quella serenità di avere le mani nelle mani di Dio. Anche qui occorreva coraggio, ma tanta pazienza, attesa, fiducia e molta, ma molta bontà. E' la bontà quella che ha il potere di sciogliere i nodi e di fare sciogliere il ghiaccio, che si crea molte volte tra gli uomini, anche nella chiesa. VENNE IL TENPO DI DIRE NO ALLA CAMORRA.
Cominciò con il proibire che la camorra gestisse la festa patronale: "Sì alla festa, era nel manifesto, sì alla farina, no alla forca" e quindi no alla camorra. Fu un momento difficile, dove si paventava la possibilità di essere ucciso. Il giorno dopo nel pontificale, dissi a chiare lettere le ragioni del NO, ad una folla che era presa da spavento e da speranza. Capivo che era tempo di uscire da quella prigione alla libertà. E fu di guida il coraggioso documento pastorale dei vescovi della Campania "Per amore del mio popolo non tacerò". Si mossero gli studenti con le varie manifestazioni e spuntò la primavera della libertà. Oramai tante paure, ma soprattutto tante mentalità, appartenevano al passato; la gente voleva guardare al domani con dignità e libertà. Come volesse scrollarsi di dosso una memoria che era diventata odiosa. Entrando in Diocesi, credetti non fosse il caso avessi uno stemma, che di.segnasse il mio servizio episcopale. A distanza di 8 anni, un giorno, recandomi in un paese della Diocesi, per le cresime, un giovane, che lavora in araldica, mi fece dono di un disegno in cui lui aveva riportato quello che pensava di me. Lo stemma, lo stile araldico aveva un sfondo tutto azzurro che significava "il deserto".Questo veniva attraversato a zigzag, da una colomba ad ali spiegate. Sotto vi era la scritta che doveva spiegare il disegno ed essere quindi il "senso" o il motto del mio episcopato osservato da questo giovane. "Traccerò una strada nel deserto" (Isaia). L'accettai, perché era appunto ciò che si.attendeva la Diocesi, che il Signore mi aveva affidata. Furono tante le iniziative pastorali che tessero il cammino di una "costruzione di Chiesa di Dio" fondata su una fede matura, una comunione senza ombre, e una testimonianza di carità, che fosse la speranza dove sembrava regnare la rassegnazione. E così fu. Nel gennaio 1998, compiendo i 75 anni, presentai al S. Padre le dimissioni, come da Codice di diritto canonico. Vennero accettate solo nel dicembre 1999. Ora sono vescovo emerito, ossia "vescovo della chiesa", libero da impegni di responsabilità di una chiesa particolare e a disposizione della Chiesa universale. Questo ha comportato un mettere una marcia in più nella vita, per fare fronte alle tante domande di portare la parola di Dio in Convegni, assemblee, Esercizi spirituali. Quanta strada! In tutti questi anni, quanta gente ho avuto modo di incontrare sul mio cammino! Non solo mi riferisco ai parrocchiani di S. Ninfa o ai fedeli della Diocesi di Acerra, ma posso dire di avere "attraversato la storia italiana" di mezzo secolo: dai sessantottini al tempo del terremoto: ai terroristi che ho visitato nelle carceri di tutta Italia, in lungo pellegrinaggio in compagnia di Padre Bachelet, fratello del Prof. Bachelet ucciso dai terroristi, alla criminalità organizzata, si chiamasse mafia, o camorra o altri nomi; tanti li ho incrociati sulla mia strada e debbo dire che, visti da vicino, nonostante gli efferati delitti commessi, mostravano tanta debolezza interiore, che mi veniva sempre voglia di dire "Padre, perdona loro perché non sanno quello che hanno fatto". Tanti ex terroristi poi hanno conosciuto il dono della conversione: per altri criminali è stato più difficile, ma non impossibile. Proprio uno dei grandi della camorra mi scrive in questi giorni: "Grazie a lei e alle parole di insegnamento che ebbi modo di ascoltare nei nostri incontri, sono riuscito ad essere ancora più deciso nel mio proposito di rompere con il passato". Un altro grande capo, che aveva costruito "una famiglia" (così si chiama una aggregazione camorrista), composta di ben 400 elementi che avevano una enorme potenza su tanta parte del napoletano, lentamente si lasciò affascinare dalla figura del "suo" vescovo, io, che aveva sempre "ncoppe o core", alla fine decise di rompere tutto. E me lo disse. Una vera frana nella geografia della camorra. Lo disse anche a qualche familiare che non accettò di smettere quella brutale potenza. E così l'uccisero. Ho incontrato gente semplice, tanta, ma tanta. Ho incontrato veri santi della vita comune e posso dire che sono una meravigliosa foresta; oggi, che non fa rumore. Ho incontrato soprattutto tanti ma tanti poveri che sono stati il dono che Dio mi ha voluto fare. Ho vissuto tra di loro e per loro. E incredibilmente ho sempre incontrato persone che mi hanno riempito le mani di aiuto, non come elemosina, ma come un creare futuro a mani piene. Erano e sono ricchi che non hanno esitato e a volte non esitano a rinunciare a tanto, per diventare "filo" che possa permettere di entrare per la cruna di un ago e quindi entrare gin cielo. Dico grazie a questi amici, che mi hanno riempito le mani sempre, e mi hanno permesso di fare quello che materialmente non avrei potuto fare. Ho davvero visto che la Provvidenza, se vede che le tue mani sono vuote, nel voler farti prossimo, a chi non ha o non può, le riempie e generosamente, anche ora. Credetemi, il mondo è pieno di santi! Ma non fanno rumore. Sono la foresta che cresce e sono la testimonianza cha Dio è ancora tra di noi. Più di quello che pensiamo. Ed ora ci siete voi di Internet, e siete tanti fino a commuovermi. E ci vogliamo bene. A voi affido un compito. Il 25 gennaio sarà l'anniversario della mia nomina a vescovo. Desidero nessuna manifestazione esteriore. Voglio che sia un giorno di preghiere per dire un GRAZIE GRANDE COME IL CIELO A DIO che mi ha tenuto in braccio, sostenendomi nella fatica: ed un miserere per le mie infinite deficienze. Grazie, cari amici. Ora mi conoscete.
Questo "racconto di vita", è una povera, se volete, testimonianza del Vangelo di oggi: "Alla chiamata di Dio, è bello dire: "Eccomi, Signore".