Omelia (19-01-2003) |
don Elio Dotto |
Parla, Signore! Certo colpisce sempre il racconto della vocazione di Samuele, quando quel ragazzo giovane ed inesperto si sentì chiamare più volte nella notte, e ogni volta correva dal suo maestro Eli, ma... non era lui che chiamava. Ci colpisce perché ci aiuta a capire quello che accade spesso – o forse accade sempre – nella nostra vita: quando ci sentiamo chiamare, quando sentiamo un'attesa nei nostri confronti, ma non riusciamo a dare un nome ed una concretezza a questa chiamata. La nostra vita rimane, in questo modo, come sospesa ed incompiuta: vorremmo dare risposta a quei desideri e a quelle attese che si affacciano nel nostro cuore, vorremmo essere all'altezza di quella misteriosa chiamata che abbiamo intuito, ma non sappiamo come fare. Appunto così accadde anche ai due discepoli del Vangelo di domenica (Gv 1,35-42). Da un po' di tempo essi stavano con Giovanni il Battista; erano stati colpiti dalla sue parole; soprattutto erano stati colpiti dal coraggio che animava la sua missione; e ora i due discepoli attendevano di capire quale fosse la loro missione, alla quale si sentivano chiamati senza però riuscire ancora a darle un nome ed una concretezza. Ebbene, avvenne un giorno che i due discepoli, sentendo le parole di Giovanni, si misero a camminare dietro Gesù. Certo ancora non avevano le idee chiare, tanto che ad una domanda di Gesù rispondono, quasi impacciati, con un'altra domanda. E tuttavia si erano messi in cammino, si erano buttati in quella nuova esperienza, giocando loro stessi e il loro futuro: «andarono dunque e videro dove abitava e quel giorno si fermarono presso di lui» (Gv 1,39). Noi oggi siamo certo molto più prudenti. Noi vogliamo avere le idee molto chiare prima di intraprendere un'impresa. E accade spesso che ci immaginiamo la vita come la progressiva realizzazione di un progetto, pazientemente messo insieme pezzo per pezzo, simile a tutti quei numerosi progetti intorno ai quali ci affaccendiamo ogni giorno. Ma in realtà le cose non stanno così: ogni nostro progetto può riguardare soltanto piccole cose, e comunque non una cosa così grande e incomprensibile come è la nostra vita. Perché, per quanto riguarda il senso e il valore della vita, noi siamo sempre come in attesa di una rivelazione, in attesa di qualcuno che ci dica: «Vieni, ti do io una speranza certa, ti do io una dimora stabile». E questa rivelazione può accadere soltanto se sappiamo metterci in cammino, buttarci nelle nuove esperienze che si prospettano, giocando noi stessi e il nostro futuro. Soltanto allora si apriranno i nostri occhi, e noi potremo finalmente riconoscere il volto di quella voce che da sempre ci chiama e ci inquieta. |