Omelia (08-11-2006) |
Monaci Benedettini Silvestrini |
Chi non puo' essere suo discepolo Ci siamo lasciati, dicendo che gli invitati al banchetto sono i poveri e gli esclusi. Spetta loro il Regno, perché sono come Gesù. Ora il Maestro dice al discepolo di vederci bene, se si trova tra quelli, perché stare con lui è necessario scegliere il suo stesso cammino verso il calvario. "Siccome molta gente andava con lui, Gesù si voltò e disse: "Se uno viene a me e non odia – amare meno - suo padre, sua madre, i suoi figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo". Siamo al cuore della catechesi, che si snoda nel viaggio verso Gerusalemme. Se le cose stanno così, chi salirà il monte del Signore? La forza di tale decisione è l'amore di chi è stato conquistato da lui. Tuttavia ad un impegno di tale portata, come la sequela di Cristo, non si può procedere impulsivamente e alla leggera, ma con la seria responsabilità di chi soppesa i mezzi alla sua portata prima di costruire una casa o dare battaglia. Gesù chiede apertamente al suo discepolo di staccarsi dalla famiglia e dai beni materiali, perché entrambi i casi possono condizionare, ostacolare e, a volte, impedire il discepolato. Così, chi vuole conservare la propria vita per sé, la perde; invece, chi la perde per lui, la ritrova. "Chi non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo". E' vivere la propria situazione. E' assumersi un cammino di amore al Padre, che si identifica in un generoso amore verso i fratelli sull'esempio di Gesù. Non chiudersi nel proprio cammino individuale. Ecco che cosa volle dire Gesù "portare la croce". Ed egli sapeva che i discepoli l'avrebbero imparato, vedendolo. |