Omelia (11-11-2004) |
Casa di Preghiera San Biagio FMA |
Dalla Parola del giorno Ti prego per il mio figlio, che ho generato in catene, Onesimo... Forse è stato separato da te per un momento perché tu lo riavessi per sempre; non più però come schiavo, ma molto più che schiavo, come un fratello carissimo in primo luogo a me, ma quanto più a te, sia come uomo, sia come fratello nel Signore. Come vivere questa Parola? Fugge dal suo padrone rubandogli anche una discreta somma di denaro e, dopo varie peripezie, giunge a Roma, incontra un missionario e si converte. Potrebbe essere questo il trafiletto di cronaca relativo alla vicenda di Onesimo, figlio spirituale dell'apostolo Paolo e schiavo di un influente cristiano della Chiesa di Colossi, Filemone. A lui Paolo invia un biglietto di raccomandazione, mettendolo tra le mani dello stesso fuggiasco che s'impegna a far ritorno dal suo padrone. Secondo la legge romana, gli schiavi fuggitivi, e per giunta ladri, avrebbero potuto subire anche la pena di morte. Eppure l'Apostolo non esita a ricongiungere il neofita al suo padrone. E lo fa con estrema fiducia, ben sapendo che, in forza della fede, Onesimo non è più un semplice schiavo ribelle ma un "fratello carissimo nel Signore", anche per Filemone, che saprà accoglierlo "in nome della carità". A noi, che siamo abituati a logiche ben diverse, in cui la giustizia è rigida applicazione della legge, più incline a punire che a riabilitare, sembra quasi un eccesso che l'affetto di Paolo per questo suo figlio generato in catene, si spinga a tal punto da invocare la revoca della pena e addirittura a proporre che Onesimo venga accolto "non più come schiavo, ma come fratello". Anzi, di più: "accoglilo come me stesso" – dice l'apostolo. Ci sembra davvero troppo. Ma non è forse questo lo stesso amore lungimirante di Dio che si manifesta ogni qualvolta torniamo a Lui per chiedere perdono? Pensiamoci bene! Se Dio – sempre! - ci restituisce la dignità di figli, qualunque sia il nostro peccato, come possiamo noi tradurre la giustizia in fredda e distaccata condanna, senza concedere spazio alla misericordia? Oggi, nella mia pausa contemplativa, aprirò il cuore all'amore che libera e redime. Innanzi tutto me stesso. E con me, ogni uomo. Concedimi, Signore, un cuore traboccante d'amore verso tutti, capace di accogliere con benevolenza e di riabilitare con lungimiranza, sottraendomi alla tentazione di applicare una giustizia senza misericordia. La voce di un monaco della chiesa orientale Chiunque può violare, a volte, la lettera di una legge, a condizione che lo faccia per essere più fedele allo spirito di quella legge. |