Omelia (26-11-2006)
don Romeo Maggioni
Benedetto colui che viene, il Re, nel nome del Signore - 2a domenica d'Avvento anno C per il rito ambrosiano

Letture : Zc 9,9-12 - Gal 3,23-29 - Lc 19,29-38

Nel cuore di queste due settimane dove il pensiero è rivolto alla fine del mondo e al giudizio definitivo sulla storia, la Chiesa ci invita a guardare al fatto storico che ha determinato la svolta, all'evento veramente significativo che ha chiuso un'epoca e ne ha aperto un'altra, l'ultima, quella che avrà il suo compimento nella "parusia". Si tratta della venuta in carne del Dio salvatore, del Messia preannunciato e promesso, il vero e pieno re e Signore che porta la riconciliazione con Dio e la pace tra gli uomini.

Il Messia che entra nella città di Gerusalemme mostra la fedeltà di Dio alle antiche promesse ed anticipa il giudizio di condanna che chiude un'epoca ormai superata.
Naturalmente è questo un altro modo di capire il senso del Natale, vederne uno spessore più intenso, per viverlo nella piena sua ricchezza di fede e di grazia.

1) UN MESSIA DI PACE

"Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore". Il Messia era atteso come liberatore, come l'iniziatore di un'epoca di pace. "Egli è giusto e vittorioso. Farà sparire i carri da Efraim e i cavalli da Gerusalemme, l'arco di guerra sarà spezzato, annunzierà la pace alle genti, e il suo dominio sarà da mare a mare e dal fiume ai confini della terra". Pace e benessere universale, è Dio stesso che farà il re del suo popolo: "Ecco, a te viene il tuo re", dopo che tutti gli altri re hanno fatto più disastri che opere di bene. Sappiamo bene come un giorno Gesù, presentandosi quale vero pastore, dirà con frase forte e tremenda: "Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti" (Gv 10,8). O per lo meno: mercenari. Lui solo "è il buon pastore che dà la vita per le sue pecore" (Gv 10,15). "Io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza" (Gv 10,10).

Non si tratta tanto di pace esteriore, sociale o civile, ma di una nuova vita, di una pace che fa riferimento a Dio. Canta la gente di Gerusalemme: "Pace in cielo e gloria nel più alto dei cieli!". E' un nuovo rapporto che viene instaurato tra Dio e gli uomini. Oggi san Paolo ce lo spiega bene nella seconda lettura. Finora, fino a Gesù, gli uomini erano come "rinchiusi sotto la custodia della legge", incapace di salvarli; "essa è stata per noi come un pedagogo che ci ha condotti a Cristo, perché fossimo resi giusti mediante la fede". E' con Cristo che diventiamo "figli di Dio", "battezzati e rivestiti di Cristo", per divenire con tutti "uno in Cristo Gesù": "non c'è più infatti giudeo né greco; non c'è più schiavo né libero; non c'è più uomo né donna".

Ecco il senso e la novità del Messia, cioè del Natale. Il prefazio odierno ne fa una ulteriore formulazione: "Nell'umanità del tuo Figlio hai ricreato l'uomo perché la morte non deformasse in lui la tua immagine viva". E' operazione di restauro, di ripresa di un progetto irrinunciabile da parte di Dio, frutto della tenacia d'amore di un Padre. "E' grazia della tua pietà che ci salva: dalla carne di Adamo il peccato ci aveva dato la morte, dalla carne di Cristo il tuo amore infinito ci ha riplasmato alla vita". La carne del Natale di Cristo - quella carne immolata sulla croce per noi - è la concreta traduzione della promessa salvifica di cui il Messia era portatore; entrando in Gerusalemme in modo ufficiale e regale si presenta al suo popolo per essere riconosciuto.

2) BENEDETTO COLUI CHE VIENE

Ciò che conta è riconoscerlo e accoglierlo. Non fa gran mostra di sé questo re e Messia: "umile cavalca un asino sopra un puledro figlio d'asina". Non è una marcia trionfale, ma l'ingresso in città di quel tipo di Messia di cui le profezie di Isaia avevano parlato: "come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori" (Is 53,7). Certamente l'immagine richiama la croce, perché il Messia alla fine sarà "l'agnello di Dio che toglie il peccato del mondo" (Gv 1,36). Un'opera di salvezza tutta interiore, e attuata con gli strumenti che esprimono non la conquista, ma il dono della vita.

"Benedetto colui che viene nel nome del Signore": ecco l'atteggiamento che ci è suggerito. Si tratta di riconoscerlo negli umili panni del bambino di Betlemme, nei poveri gesti del suo ministero e infine nel fallimentare sacrificio di sé sulla croce, nel modo sconcertante con cui Dio viene a noi e ci salva. Diremo nel giorno di Natale: "E' apparsa la bontà di Dio nostro salvatore, e il suo amore per noi (apparuit humanitas et benignitas)", non la sua potenza e grandezza. Nel Natale, e ancor più nella croce, Dio ha mostrato di sé il volto della condivisione e dell'amore; proprio perché vuol conquistarci il cuore con l'amore.
In questo imporsi con l'amore si manifesta il giudizio sul mondo. "Signore Gesù - scrive S. Kierkegaard - benché tu non sia venuto al mondo per giudicare il mondo, tuttavia, poiché l'amore non è stato amato, tu sei stato il giudice del mondo".

Di fronte ai gesti di Dio e di Cristo c'è chi crede e chi non crede, chi agita le palme e l'ulivo gioioso, e chi si ritira a fare complotto contro di Lui. E in questo, già da ora, sta il giudizio di Dio sulla storia e sugli uomini. Per tutto l'avvento la Chiesa ci invita a saper accogliere oggi la venuta di Gesù come salvatore perché lo possiamo incontrare come giudice benigno nel giorno del suo ritorno finale.

L'entrata ufficiale di Gesù in Gerusalemme chiude e attua le promesse di tutto il profetismo messianico. Dio sa mantenere la sua parola! Quelle promesse e premesse che ora Gesù fa a noi, hanno alle spalle la garanzia della fedeltà propria di Dio.
Il "già" del nostro battesimo è solo un anticipo - ma sicuro - di quel "non ancora" che ci manca e che ci verrà dato nel giorno del compimento definitivo. In questo senso l'Avvento educa alla speranza, perché ciò che il Signore ha iniziato a compiere in noi nella storia, lo saprà certamente portare a compimento nella gloria.