Omelia (19-11-2006) |
padre Raniero Cantalamessa |
Dio è buono e pietoso… perchè sa di che pasta siamo fatti Il Vangelo della penultima Domenica dell'anno liturgico, è il testo classico sulla fine del mondo. In ogni epoca c'è stato qualcuno che si è incaricato di sventolare minacciosamente questa pagina di Vangelo davanti ai suoi contemporanei, alimentando psicosi e angoscia. Il mio consiglio è di stare tranquilli e non lasciarsi minimamente turbare da queste previsioni catastrofiche. Basta leggere la frase finale dello stesso brano evangelico: "Quanto poi a quel giorno o a quell'ora, nessuno li conosce, neanche gli angeli nel cielo, e neppure il Figlio, ma solo il Padre". Se neppure gli angeli e il Figlio (s'intende, in quanto uomo, non in quanto Dio) conoscono il giorno e l'ora della fine, possibile che li conosca e sia autorizzato ad annunciarli l'ultimo adepto di qualche setta o fanatico religioso? Nel Vangelo Gesù ci assicura sul fatto che egli tornerà un giorno e riunirà i suoi eletti dai quattro venti; il quando e il come verrà (sulle nubi del cielo, tra l'oscurarsi del sole e il cadere degli astri) fa parte del linguaggio figurato proprio del genere letterario di questi discorsi. Un'altra osservazione può aiutare a spiegare certe pagine del Vangelo. Quando noi parliamo delle fine del mondo, in base all'idea che abbiamo oggi del tempo, pensiamo subito alla fine del mondo in assoluto, dopo la quale non può esserci che l'eternità. Ma la Bibbia ragiona con categorie relative e storiche, più che assolute e metafisiche. Quando perciò parla della fine del mondo, intende molto spesso il mondo concreto, quello di fatto esistente e conosciuto da un certo gruppo di uomini: il loro mondo. Si tratta, insomma, più della fine di un mondo che della fine del mondo, anche se le due prospettive a volte si intrecciano. Gesù dice: "Non passerà questa generazione prima che tutte queste cose siano avvenute". Si è sbagliato? No, non passò infatti quella generazione che il mondo conosciuto dai suoi ascoltatori, il mondo giudaico, passò tragicamente con la distruzione di Gerusalemme del 70 dopo Cristo. Quando, nel 410, ci fu il sacco di Roma ad opera dei Vandali, molti grandi spiriti del tempo pensarono che fosse la fine del mondo. Non si sbagliavano di molto; finiva un mondo, quello creato da Roma con il suo impero. In questo senso, non si sbagliavano neppure quelli che l'11 Settembre del 2001, davanti al crollo delle Torri gemelle, pensarono alla fine del mondo... Tutto questo non sminuisce, ma accresce la serietà dell'impegno cristiano. Sarebbe la più grande stoltezza consolarsi dicendo che, tanto, nessuno conosce quando sarà la fine del mondo, dimenticando che essa può essere, per ognuno, questa notte stessa. Per questo, Gesù conclude il Vangelo odierno con la raccomandazione: "State attenti, vegliate, perché non sapete quando sarà il momento preciso". Dobbiamo, credo, cambiare completamente lo stato d'animo con cui ascoltiamo questi Vangeli che parlano della fine del mondo e del ritorno di Cristo. Si è finito per considerare un castigo e una oscura minaccia, quella che la Scrittura chiama "la beata speranza" dei cristiani, e cioè la venuta del Signore nostro Gesù Cristo (Tito 2, 13). Ne va di mezzo l'idea stessa che abbiamo di Dio. I discorsi ricorrenti sulla fine del mondo, opera spesso di persone con un sentimento religioso distorto, hanno su molti un effetto devastante: quello di rafforzare l'idea di un Dio perennemente arrabbiato, pronto a dare sfogo alla sua ira sul mondo. Ma questo non è il Dio della Bibbia che un salmo descrive come "buono e pietoso, lento all'ira e grande nell'amore, che non continua a contestare e non conserva per sempre il suo sdegno... perché sa di che pasta siamo fatti" (Sl 103, 8-14). |