Omelia (26-11-2006)
mons. Ilvo Corniglia


La Chiesa conclude il suo percorso annuale (= anno liturgico) celebrando - col cuore colmo di riconoscenza, di fiducia, di affetto, di giubilo - il Signore Gesù, Re dell'universo. I brani biblici della Messa illustrano alcuni aspetti della sua regalità.
Il profeta Daniele contempla nella storia la successione di diversi imperi e li descrive con l'immagine di 4 "bestie" selvagge, che salgono dal mare (simbolo di tutte le forze ostili a Dio e agli uomini), E' il volto disumano del potere, quando, invece che cercare il vero bene dell'uomo, lo opprime. Ma ecco, dopo che l'ultima bestia è stata condannata da Dio, la scena si sposta nel cielo (Dn 7, 13-14: I lettura): "Uno simile a un figlio d'uomo" (un uomo quindi) avanza "sulle nubi del cielo" (=sul piano stesso di Dio). L'immagine dice il volto umano di questo nuovo regno e anche il suo carattere divino. Il "vegliardo" (=Dio) "gli diede potere, gloria e regno". Un regno universale: "tutti i popoli lo servivano". Un regno eterno: "che non tramonta mai...non sarà mai distrutto". Con chiaro riferimento a questo passo di Daniele, Gesù applicherà abitualmente a sé questo titolo di "figlio dell'uomo", soprattutto quando parlerà della sua venuta ultima nella gloria (cfr. Mc 13,26: Vangelo della scorsa domenica). E, prima ancora, l'angelo Gabriele, annunciando a Maria la nascita del Salvatore, le dirà che "il suo regno non avrà fine" (Lc 1, 33 cfr. Dn 7,14 e Is 9,6). Un'espressione che la Chiesa ha inserito nel Credo e che s. Teresa di Lisieux non si stancava di assaporare nel suo contenuto di dolcissima speranza.
Il brano dell'Apocalisse è un'acclamazione entusiasta a Cristo da parte della comunità, riunita per la celebrazione liturgica (Apc. 1,5-8: II lettura). Richiamando la visione di Daniele, esprime l'attesa del Regno finale: "Ecco viene sulle nubi e ognuno lo vedrà". Ma, prima ancora, delinea i connotati del nostro Re e la nostra relazione attuale con Lui. "Gesù Cristo è il testimone fedele" =colui che con la sua parola, con la sua vita, soprattutto con la sua morte ha testimoniato, ha rivelato Dio come Padre, come Amore. "Il Primogenito dei morti" =il Risorto, colui che ha vinto la morte, rendendoci partecipi del suo destino. "Il Principe dei re della terra" =colui che detiene in assoluto il primato regale: "Re dei re e Signore dei signori" (Apc. 19,16). Segue la presentazione di altri tratti della sua figura, soprattutto in rapporto alla comunità credente: "Colui che ci ama": il verbo al presente (letteralmente: "l'amante") indica un amore attuale e continuo. E' un re che conosce e ama la comunità, ha una relazione personale con ognuno ed è felice nel sentirsi riamato. Felice di ricevermi in udienza tutte le volte che io lo voglio (es. nella preghiera, nei sacramenti...). "E ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue". Un re, cioè, che ci ha liberati da ogni forma di schiavitù con un incredibile gesto d'amore: ha versato il suo sangue. Ecco fin dove è arrivato l'amore di questo "Amante". Tale evento, cioè il sacrificio della sua vita da cui è scaturita la nostra liberazione, in ogni celebrazione eucaristica viene ricordato e reso presente. Partecipando, noi possiamo fare ogni volta un'esperienza nuova di libertà. Chi tra gli uomini può dire: il mio re è morto per me, mi ha amato da morire e mi ama tuttora? Chi contempla il suo Re in croce scopre la potenza di un amore smisurato. Un re terreno può procurare benessere ai sudditi. Il nostro Re ci ha liberati dal peccato e dalla morte riconciliandoci con Dio: "Ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre". Sacerdoti: che hanno una relazione privilegiata con Dio. Ciò è proprio di tutti i battezzati i quali sono associati al sacerdozio di Cristo, offrendo al Padre il culto della lode (soprattutto l'Eucaristia) e della vita trasformata dalla carità. Partecipano poi alla regalità di Cristo, operando al servizio del Regno di Dio a alla sua diffusione nella storia, vincendo in se stessi il regno del peccato (cfr. Rm 6, 12) e dominando con l'amore sulle forze disgregatrici dell'egoismo e del male. E' così che, nell'attesa di regnare con Cristo nella gloria futura, possono già ora "regnare" con Lui.
Il Vangelo di oggi ci consente di cogliere il significato più profondo della regalità di Gesù. S. Giovanni in tutto il racconto della Passione sottolinea con marcata insistenza la realtà di Gesù Re. Si pensi es. all'iscrizione sulla croce "Gesù il Nazareno il re dei giudei", redatta in ebraico, in latino e in greco. Noi la leggiamo abitualmente sui nostri crocifissi sotto la sigla " I.N.R.I.". Il suo simbolismo è chiaro: attraverso la croce Gesù diventa il Re messianico e tale avvenimento deve essere annunciato in tutte le lingue del mondo. Nel brano di oggi tutto questo è come anticipato. Gesù in veste di imputato si trova davanti al tribunale romano. Alla domanda del giudice risponde dichiarando anzitutto che cosa non è il suo regno: "Il mio regno non è di questo mondo". Cioè non trae origine dal mondo, non appartiene al mondo, non è un regno politico e civile, come Pilato poteva pensare e temere. Non ha eserciti. Gesù però non nega di essere re. Il governatore incalza: "Dunque tu sei re?". "Tu lo dici; io sono re". Tale espressione indica un consenso, ma con riserva, quasi lasciando all'altro la responsabilità di quanto afferma. Gesù quindi dichiara di essere re. Ma si affretta a precisare la natura del suo regno: "Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo". Il fine della sua missione, il senso della sua esistenza e attività: "rendere testimonianza alla verità". La "verità" nel IV Vangelo è la rivelazione definitiva dell'amore di Dio per gli uomini che Gesù porta e che si identifica con Lui stesso: "Io sono la verità" (Gv. 6, 14). Gesù esiste e opera solo per questo: rivelare a tutti il cuore di Dio che è Padre e Amore, consentire a ognuno di incontrarlo e lasciarsi abbracciare da Lui. In tutto quello che dice, che fa e che è, Egli rende testimonianza alla "Verità". A questa missione rimane fedele fino alla morte ed è così che esercita il suo potere regale, o meglio il suo servizio regale. "Chiunque è dalla verità": (coloro che nel proprio cuore sono in consonanza con la Parola di Dio, la cercano per conformare ad essa la propria vita morale) "ascolta la mia voce": cioè accettano la sua rivelazione, la interiorizzano e la vivono. Gesù potrebbe assicurarmi: tu sei uno di questi?. Gesù quindi regna attraverso la verità. Regna cioè su coloro che liberamente lo accettano come il loro unico maestro. Non cerca sudditi rassegnati, ma discepoli e amici fedeli che condividono la sua causa.
Questa presentazione di Gesù, che regna attraverso la verità, è in contrasto con l'altra secondo la quale Egli regna sulla croce? In realtà, la croce è il suo trono regale, ma è anche il luogo dove la rivelazione di Dio amore risplende in modo pieno e compiuto. Nel massimo dolore si manifesta il massimo amore. E' impressionante l'audacia con cui Gesù si proclama re nel momento in cui, incatenato, povero prigioniero, è in procinto di essere condannato e ucciso. Il vero re è colui che serve e muore per amore. Nel Vangelo e nell'Eucaristia (che rende presente e contiene il mistero del Cristo crocifisso e risorto) Gesù si rivela come Re. Noi lo incontriamo lasciando entrare il Vangelo e ogni sua parola nella nostra vita e facendo dell'Eucaristia il centro della nostra esistenza. Nel rapporto col Crocifisso (e quindi con l'Eucaristia) capiremo sempre più che regnare è amare, è trasformare ogni sofferenza in amore, è servire. Ma servire è regnare. Chi serve domina appunto sui propri egoismi e istinti. Regnare già ora con Cristo è accogliere la "Verità" (il Vangelo) e testimoniarla. La testimonianza più efficace rimane il servizio, cioè essere "amore che serve" nella misura del nostro Re crocifisso.

"Io sono Re, il tuo Re". Anche a te Gesù fa questa dichiarazione. Ti procura gioia il sapere che appartieni a un re così? Lo riconosci come tale? Cosa fai perché altri lo riconoscano?

"Il suo regno non avrà fine". Cosa provi quando nella recita del Credo pronunci queste parole?