Omelia (20-10-2006) |
Monaci Benedettini Silvestrini |
Che cosa vuoi che io ti faccia? Signore, che io veda Gesù sta per terminare il cammino verso la città santa dove il suo destino di profeta giungerà a compimento: "tutto ciò che fu detto dai profeti riguardo al Figlio dell'uomo si compirà". Ma "i dodici non compresero nulla di tutto questo". Sono ciechi e hanno bisogno della luce della fede per vincere la loro cecità spirituale. E' quello che sembra voler insinuare l'evangelista Luca con il racconto del cieco. Mentre Gesù si avvicinava a Gerico, sulla strada verso Gerusalemme, un cieco cominciò a gridare: "Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me!" Gesù si fermò, ordinò che conducessero a lui il cieco e gli domandò: "Che vuoi che io faccia per te?" Egli rispose: "Signore, che io riabbia la vista". E Gesù gli disse: "Abbi di nuovo la vista!" L'effetto reale della vista recuperata si proietta però nella storia dei dodici e di tutti gli uomini, e assume un significato simbolico. Non possiamo non rilevare anche una maturazione nella fede di questo stesso malato, al quale Gesù era stato presentato solo come "Gesù il Nazareno", e che poi lo invocherà con il titolo messianico: "Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me". Il cieco guarito sulla via scopre tutta la novità di Gesù Cristo. Perciò non si limita a benedire Dio per il miracolo, ma si unisce al viaggio di Gesù verso la città santa. E' dunque in primo luogo la vista della fede quella di cui abbiamo estremo bisogno per vedere la Gloria nell'umiliazione del Figlio dell'uomo. Molto spesso ci sentiamo ciechi. Credevamo di sapere e non sappiamo, credevamo di aver capito e non conosciamo affatto. Abbiamo bisogno di vedere Gesù, e in Gesù, gli altri con occhi di benevolenza come li guarda Dio. Ecco che non è estremamente difficile, dinanzi a Cristo Signore, che continua a passare nella nostra giornata, gridare con lo stesso desiderio di quel cieco, vicino a Gerico, e dirgli anche noi: "Signore, che io riabbia la vista". |