Omelia (03-12-2006)
Suor Giuseppina Pisano o.p.


"... vedranno il Figlio dell'uomo venire su una nube con potenza e gloria grande", è Gesù stesso che, con queste parole, parla della sua venuta, alla fine dei tempi; un discorso che abbiamo letto due domeniche fa', a conclusione dell' anno liturgico, e che, ora, inaugura il nuovo anno, quasi fosse un discorso infinito, in cui inizio e fine si intrecciano.

C'è dunque un'attesa nella Storia, l'attesa della presenza svelata di Dio, nel Figlio, l'Uomo-Gesù, che, vincendo il peccato alla radice, con esso, ha vinto definitivamente la morte, e ritornerà, glorioso, per associare, tutti i redenti, alla sua gloria eterna, quando "Dio eliminerà la morte per sempre; si, il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto..." ( Is. 25,8)

È la speranza antica, che oggi la liturgia ci ricorda in un passo del profeta Geremia: "Ecco verranno giorni oracolo del Signore - nei quali io realizzerò le promesse di bene che ho fatto alla casa di Israele e alla casa di Giuda. In quei giorni, e in quel tempo, farò germogliare per Davide un germoglio di giustizia; egli eserciterà il giudizio e la giustizia sulla terra. In quei giorni Giuda sarà salvato e Gerusalemme vivrà tranquilla. Così sarà chiamata: 'Signore nostra giustizia'. " (Ger 33, 14 16 )

La giustizia e la pace in un universo amico, è l' immagine, che dà forma al desiderio insopprimibile di felicità inalterata, di appagamento totale, cui aspiriamo e che, mai, conseguiamo, in questa vita.
È Dio, che, solo può realizzarli, e, di fatto, ha dato inizio a questa attuazione, con l'incarnazione del Figlio, Gesù di Nazareth, il liberatore promesso, il Messia, implorato e atteso per lunghe generazioni, il Cristo, nostro Dio e Redentore, che ha instaurato nel mondo, quel regno, che giungerà a pienezza negli ultimi tempi, quando Egli ritornerà, come giudice.

Il discorso di Gesù sulla sua seconda venuta, anche nel racconto di Luca, che oggi la liturgia eucaristica propone, ha i toni apocalittici, che già abbiamo letto in Marco:"...vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l'attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra..."; sappiamo, però, che queste immagini fanno parte di un linguaggio specifico, non sono la redazione di una cronaca, ma solo dei simboli, per indicare la grandezza immensa di quell' evento grandioso, che sarà la presenza svelata di Dio nella Storia degli uomini.

Colui che tornerà come giudice, non è estraneo alla vicenda umana; è quello stesso bimbo che abbiamo adorato in una mangiatoia, è quel Maestro, che, solo, ha operato il bene, e, che mentre eravamo peccatori, è morto per riconsegnarci, giustificati, al Padre; ecco perché, parlare delle realtà ultime, non può terrorizzarci, ma, come lo stesso Signore dice: "...quando cominceranno ad accadere queste cose, alzatevi e levate il capo, perché la vostra liberazione è vicina".

Chi è stato raggiunto da Cristo, chi ne vive la comunione, chi è battezzato in Lui e crede che, veramente, egli è il Figlio di Dio, venuto nella carne, per condividere pienamente, tutta la drammaticità dell' esistenza umana e risanarla, non può che levare il capo e gioire, nella speranza viva della liberazione definitiva, di tutto il creato e dell'intera Storia, quando, finalmente, "Dio sarà tutto in tutti." (I Cor.15,28)
Il Tempo liturgico dell'Avvento, celebrando l'attesa della prima venuta del figlio di Dio, ci aiuta a coltivare il senso dell' attesa del secondo avvento, e ciò, nella contemplazione di tutto il Mistero di Cristo, che è venuto, che verrà, ma che, ancor oggi viene, nella grazia, e nei sacramenti, in particolare l' Eucaristia, a fecondare la vita di ogni uomo o donna che lo desideri, e lo implori.

Educarsi all'attesa, vivere l'attesa, non è cosa facile, come osservava Dietrich Bonhoeffer in uno dei suoi sermoni:
"Celebrare l' Avvento, significa saper attendere, e l'attendere è un'arte che, il nostro tempo impaziente, ha dimenticato. Il nostro tempo vorrebbe cogliere il frutto appena il germoglio è piantato; così, gli occhi avidi, sono ingannati in continuazione, perché il frutto, all'apparenza così bello, al suo interno è ancora aspro, e, mani impietose, gettano via, ciò che le ha deluse. Chi non conosce l'aspra beatitudine dell' attesa, che è mancanza di ciò che si spera, non sperimenterà mai, nella sua interezza, la benedizione dell'adempimento" ( dal Sermone sulla I domenica di Avvento-2 dicembre 1928 )

Celebrare l'Avvento è educarsi alla beatitudine finale, all'adempimento benedetto del nostro destino, coltivando la speranza, che Il Signore verrà, e stabilirà per sempre quel regno di giustizia e di pace, che mai l'uomo potrà creare, ma che solo è dono di Dio, in Cristo Gesù.
Si, il nostro tempo sembra esser dominato dalla frenesia, dai ritmi incalzanti, del vivere, del produrre, del consumare e del gettar via; perciò, attendere ed aprirsi a ciò che non è immediatamente visibile e fruibile, può sembrare tempo sprecato.

Eppure il Signore stesso avverte: "State bene attenti che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita, e che quel giorno non vi piombi addosso improvviso; come un laccio esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra"; non è certo una minaccia, ma l' esortazione appassionata, a guardare in alto, senza disattendere agli impegni del quotidiano, che, tuttavia, non può e non deve, sequestrarci, privandoci di quell'orizzonte, che spazia oltre il semplice dato temporale.

Non appesantire il proprio cuore, significa, usando a commento le parole di Paolo: "crescere e abbondare nell'amore vicendevole e verso tutti, per rendere saldi e irreprensibili i cuori nella santità, davanti a Dio Padre nostro, al momento della venuta del Signore nostro Gesù con tutti i suoi santi." (1 Ts. 3,12 4, 2)

È dunque un tempo prezioso, questo dell' Avvento, un tempo fecondo nella riflessione sulla Parola di Dio, nella preghiera, e nelle opere di carità fraterna, quella carità che ci fa scorgere Cristo, ancora vivo e presente nella nostra storia, perché incarnato nella persona degli ultimi, dei deboli e dei poveri, qualunque sia l'indigenza di cui essi soffrono; ed è, quindi, con queste parole che oggi preghiamo "Dio, nostro Padre, perché susciti in noi, la volontà di andare incontro, con le buone opere, al Cristo che viene, perché egli ci chiami accanto a sé nella gloria a possedere il regno dei cieli" ( dalla liturgia del giorno.)



Sr M. Giuseppina Pisano o.p.
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